L’Associazione nasce nel 2017 da un comitato di cittadini già presente sul territorio di Nonantola che ha voluto mettersi in gioco nella complessa e sfidante partita dell’accoglienza. Quindi è il frutto della libera espressione di una buona parte dei cittadini della comunità, che decide di organizzarsi come comitato, a seguito dell’ondata migratoria degli anni ’90. Nonantola è un piccolo paese con una posizione strategica nella prima cintura periferica di Modena e ha accolto numerosi stranieri, anche in virtù di un costo della vita più accessibile e, al contempo, della vicinanza con il centro di Modena.
“Questi cittadini hanno sentito con forza la necessità di intervenire, entrando con le mani, la testa, il cuore e, direi, la pancia dentro le problematiche dell’immigrazione, affrontando le questioni legate all’integrazione e l’interazione di immigrati e rifugiati nella nostra comunità”. Esordisce così, nel suo appassionato racconto, Stefania Lucenti la presidente di “Anni in fuga” e promotrice con altri del comitato.
Una cultura dell’accoglienza è già presente nella storia della vostra realtà cittadina. Nonantola è dunque, per sua natura, sensibile verso l’immigrazione, ma questo che legame ha con la nascita di “Anni in fuga”?
Questa vocazione alla solidarietà ha radici profonde che affondano nella vicenda storica di coloro che sono conosciuti come "i ragazzi di Villa Emma" del 1942. Un medico ed un sacerdote sostennero, durante la Seconda guerra mondiale, l'opera di salvataggio di un gruppo di una settantina di giovani ebrei, provenienti dall'est europeo, sottraendoli alle persecuzioni nazifasciste e ai campi di concentramento, fino alla salvezza in territorio svizzero. Per un anno i ragazzi poterono condurre a Nonantola una vita abbastanza serena, con il sostegno solidale della popolazione locale. Con l’occupazione fascista i ragazzi vengono messi in salvo, affidati ad una trentina di famiglie locali e altri nascosti nel seminterrato del seminario.
Con questa storia, quando ci siamo trovati di fronte ad una ondata migratoria che interessava il nostro piccolo paese è stato quasi naturale attivarsi, cercando di capire quali erano le esigenze di queste persone: è come se fosse stato sempre il nostro compito. Inizialmente il comitato era composto da cittadini e da rappresentanti di diverse associazioni del territorio, con un numero variabile di aderenti. Iniziammo con una serata aperta a tutta la cittadinanza, seguita da una serie di eventi, cineforum e conferenze di approfondimento sul tema, finché non inizia a concretizzarsi l’esigenza di diventare associazione. Questa scelta è dettata da motivi burocratici, considerata l’opportunità di iscriverci al registro delle associazioni, di poter partecipare a dei bandi e, quindi, poter promuovere iniziative con un carattere economico importante, cosa che con il comitato non era possibile. La caratteristica che ci distingue però è lo spirito aperto di un comitato: la nostra realtà è aperta a tutti indistintamente, anche ai non soci, perché per noi è importante il contributo di tutti e offrire l’opportunità a ciascuno di prendere parte ad un progetto così centrale per il nostro territorio. Il passaggio non è stato così immediato per tutti, a dire il vero. Solo una parte dei partecipanti al comitato ha aderito all’Associazione, pur lasciando noi la porta aperta a tutti. Ma negli anni le cose sono cambiate e anche gli altri pian piano si sono iscritti. Questo percorso è stato condizionato da un preconcetto ideologico, che ha influenzato persino me che sono la presidente dell’Associazione, pensa tu! All’epoca si riteneva, a torto, che restando comitato questa condizione avrebbe reso più ampia la partecipazione dei cittadini e più restrittiva adottando la forma associativa. Pensiero smentito nei fatti dopo, ma ogni cammino ha bisogno dei suoi tempi e di maturare consapevolezze.
Quali fasi avete attraversato dopo la decisione di trasformarvi in Associazione?
Una fase che ci ha visti pesantemente impegnati ha riguardato l’arrivo della successiva ondata migratoria a Nonantola, quella che io definisco “dei barconi” e sappiamo a cosa mi riferisco. Ne abbiamo accolti 79, cercando di sistemarli in edifici che potremmo definire di “ospitalità diffusa”, affittati appositamente per l’accoglienza in un contesto emergenziale, lavorando in collaborazione con due cooperative differenti. Dal canto nostro, la priorità è stata comprendere in che modo potessimo dare risposta alle esigenze primarie di chi si trova catapultato in una comunità nuova e sconosciuta: la regolarizzazione dei documenti, la ricerca di un lavoro e di una abitazione stabile. Queste sono state le nostre attività alimentate dall’emergenza. Successivamente, le nostre proposte, seppur rimanendo fedeli allo spirito della mission originaria, sono diventate espressione di un significato più ampio di comunità, che abbiamo voluto promuovere. Comunità intesa nel riconoscimento e nell’intreccio di tutte le sue componenti, da cui prendono le mosse progetti e attività rivolti non più solo ai migranti, ma alla collettività nel suo insieme.
Adesso il nostro sguardo è orientato alle categorie di soggetti più fragili della comunità, con un’accezione piuttosto allargata, come migranti, ma anche donne e giovani, oppure persone portatrici di abilità differenti. Cerchiamo di intercettare le esigenze restando in ascolto del territorio.
Come organizzate le vostre iniziative? Avete instaurato dei legami sul territorio?
Sì, certo, naturalmente mai da soli, sarebbe impossibile e poco fruttuoso. La partecipazione e la collaborazione sono due pilastri del nostro operato. Abbiamo costruito una rete di collaborazione con altre associazioni di volontariato sul territorio, con l’amministrazione comunale. Per un certo periodo abbiamo partecipato ad un tavolo con il comune, insieme a delle cooperative di ragazzi migranti; un’esperienza che si è conclusa dopo un po' di tempo per ragioni potremmo dire così “politiche”.
A Nonantola abbiamo la Scuola di italiano “Frison”, un servizio del comune le cui attività sono gestite da un’altra associazione, una proposta con cui abbiamo attivato un dialogo aperto, di cui abbiamo sostenuto il lavoro. Ci cimentiamo in alcune progettualità e di recente, insieme ad altre associazioni, abbiamo vinto un bando regionale rivolto a ragazzi con abilità differenti. Il sabato pomeriggio organizziamo un percorso di attività miste presso la nostra sede: cineforum, laboratori di cucina, gite in alcune città d’arte, in sostanza iniziative dedicate al tempo libero e alla socialità. Esse vedono coinvolti giovani e ragazzi immigrati in età adolescenziale, quella fascia di età che volge alla fine della scuola dell’obbligo e che rischia di andare incontro ad episodi di solitudine e marginalità. Il nostro obiettivo è di poter creare un legame tra questi ragazzi e l’esterno, facendo interagire questo gruppo misto con altre realtà.
La modalità con cui intercettiamo le esigenze è piuttosto mista. Alle volte sono i cittadini che vengono da noi, come è accaduto per il caso dei genitori di alcuni ragazzi con abilità differenti che hanno formato un gruppo da noi supportato; in altri casi, invece, abbiamo fatto delle richieste all’amministrazione, anche insieme ad altre associazioni. Qualche volta è l’amministrazione stessa che ci contattato portandoci a conoscenza di una necessità. La nostra è una porta sempre aperta.
Abbiamo nell’Associazione anche un Gruppo di acquisto solidale, questo gruppo si è avvicinato a noi e abbiamo voluto promuovere questa iniziativa per incentivare lo sviluppo di una sensibilità verso l’ambiente e diffondere questa cultura e le sue pratiche, anche tra immigrati che all’inizio sono maggiormente preoccupati per bisogni impellenti e non di acquistare a km 0.
Nelle intenzioni vorremmo aprire un punto ristoro con un bar, ma è ancora un’idea.
Se ti dico: “Taverna del pensiero lungo”, che mi rispondi?
Il luogo in cui abbiamo insediato le nostre attività. L’incontro con la sede è stato una questione di amore a prima vista! Abbiamo adocchiato i locali di un ex negozio nella piazza di Nonantola, sfitto da tempo. Ne abbiamo fatto richiesta e la proprietà si è mostrata molto disponibile soprattutto per via della natura delle attività che intendevamo realizzare in quella sede. Ci sono venuti incontro sul prezzo, sebbene si debba riconoscere che paghiamo un affitto con un autofinanziamento derivante dall’organizzazione di cene sociali e di raccolta fondi, dalle attività laboratoriali con i bambini e da qualche altro contributo derivante dai progetti. Non mancano anche dei contributi di alcuni beneficiari che utilizziamo per sostenerci. Volevamo un posto tutto nostro che rappresentasse chi siamo e quello che ci proponiamo di fare e anche la posizione si presta a organizzare, promuovere e svolgere iniziative, aprendoci a tutta la città, nelle sue diverse espressioni, organizzative, sociali, culturali e del tempo libero. Fare in modo che potesse diventare luogo di incontro di esperienze e socialità. Questo volevamo. Ne vale la pena.
E la vostra squadra di calcio con i ragazzi richiedenti asilo e stranieri?
Adesso non c’è più. Si è trattato di una fase iniziale in cui i ragazzi che vivevano nelle case di accoglienza qui a Nonantola erano concentrati sul proprio vissuto di disagio, con un impatto psicologico significativo, e la squadra di calcio è stato un approccio utile per sperimentare legami e distoglierli da una condizione con forte rischio di depressione. Il covid ha messo fine a questa esperienza, purtroppo. La cosa interessante è che nel frattempo, questi giovani hanno intrapreso una loro strada, trovando un appartamento proprio; oppure chi si è sposato, chi ha trovato subito lavoro, insomma è andata così, non c’è stata più esigenza di aggregarsi tramite lo sport. Però ha funzionato per tre anni almeno e abbiamo giocato anche fuori dal paese con chi ci invitava. Abbiamo partecipato ad un torneo chiamato dei “Due mondi”, a cui prendono parte squadre con peculiarità diverse.
Quale è la composizione dei soci nell’Associazione, anche da un punto di vista anagrafico?
Sotto il profilo anagrafico dei soci vantiamo una grande varietà. Ci sono le persone più avanti con l’età, che coinvolgiamo nella gestione del Piedibus, il servizio bus che accompagna i bambini a scuola a piedi, un progetto messo al bando dal comune che abbiamo vinto. Una iniziativa all’insegna dell’educazione all’ambiente. Lo svolgiamo di mattina, quindi riescono ad impegnarsi pensionati e casalinghe. Poi ci sono moltissimi ragazzi giovani tra gli stranieri e non che si attivano in iniziative di volontariato, a supporto anche delle iniziative del sabato. Poi abbiamo anche una fascia di mezzo. Anche il gruppo delle donne ha età molto diverse. Riusciamo a mettere insieme esigenze e coinvolgimento a differenti livelli. Tra l’altro, se guardiamo al direttivo, ai soci fondatori, troviamo anche due ragazzi stranieri (Nigeria e Guinea) giovanissimi che hanno voluto spendersi in questo progetto. Questo credo dipenda anche dalla natura dell’Associazione.
Come avete incontrato le Acli e in che cosa potete dire di sentirvi vicini alle Acli?
Diciamo che ad un certo punto abbiamo avvertito l’esigenza di un supporto. Il tesoriere del nostro direttivo, davvero in gamba, conosceva le Acli e ci ha proposto di affiliarci nel 2019. Direi che è’ stata un’ottima decisione, tra l’altro abbiamo attivato delle iniziative comuni con il Provinciale di Acli Modena. Ci riconosciamo interamente nella disponibilità e nella grande apertura che abbiamo incontrato, un’attitudine ed un valore su cui si fonda sa sempre anche la nostra missione e alle Acli lo abbiamo ritrovato. Non da ultima la competenza delle Acli, un aspetto per nulla trascurabile e molto prezioso per chi come noi da inesperto si muove in un mondo incerto e complesso. Ogni volta che ci siamo interfacciati abbiamo ricevuto risposte utili, veloci che ci hanno aiutato a strutturarci meglio. Poi direi…. La simpatia. Si è reato un rapporto umano molto gratificante, alimentato dalla reciproca partecipazione ad eventi ed iniziative promosse sul territorio. Per confrontarci possiamo fare affidamento su un gruppo whatsapp con il provinciale, ma ci sentiamo in modo frequente telefonicamente. In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo partecipato ad una manifestazione organizzata dal CTA Acli, nei paesi caratterizzati da una storia che coinvolgesse gli ebrei. Sono venuti da noi per una giornata e abbiamo contribuito al racconto della storia di Villa Emma. Questa storia che, come dicevo all’inizio, è nel DNA della comunità e della nostra Associazione è stata valorizzata dalle Acli. Poi abbiamo organizzato un pranzo comune dove c’è stato spazio per un confronto sulla realtà migratoria attuale, dando voce ai ragazzi della nostra Associazione che provengono da paesi diversi, con il racconto della loro storia. Tale esperienza ci ha fatto sentire accolti dalle Acli e riconosciuti dall’esterno, da chi ci guarda con altri occhi.
Desideri aggiungere qualcosa a quanto hai raccontato?
Certo, guarda, questo lo devo proprio dire perché poi mi sgridano sempre. Essendo io di indole ottimista rischio di far sembrare tutto una bella passeggiata. Ecco non è proprio così. Le fatiche e le difficoltà le viviamo quotidianamente e la questione dell’allargare il numero dei volontari è sempre un nodo. Alla fine, ci ritroviamo in numero un po' sempre gli stessi ad attivarci in modo continuativo e l’affanno si avverte. Quello che, però, è più difficile da elaborare ha a che vedere con la tipologia di esperienze e di problematiche che affrontiamo: il disagio giovanile, la questione dell’integrazione, l’accoglienza della diversità, la questione degli alloggi che da noi è davvero critica. Insomma, non è il paese delle meraviglie. Il coinvolgimento è tanto, sebbene ci sia stato un ricambio tra i soci, resta un grande gruppo legato da rapporti di amicizia e fiducia non indifferenti e questo offre una grande spinta motivazionale. Tra di noi ci diciamo sempre “questo impegno è bello e ha valore finché fa stare bene anche noi”, quindi se nell’impegno conserviamo una componente ludica, di piacere e divertimento, bisogna volerci stare. Entri a contatto con storie difficile e tocchi con mano la terribile sofferenza delle persone, se viene meno il desiderio e la volontà di ascoltare e stare insieme, forse vale la pena dirselo e prendersi una pausa, con molta serenità. Siamo tutti volontari e nessun lavoratore.
Ci muoviamo in un territorio che vanta la presenza di ben 52 associazioni riconosciute, che aggiunte alle altre non riconosciute vi lascio immaginare. Siamo immersi in un mondo ricchissimo e di estremo valore, forse noi siamo riconoscibili proprio per la nostra capacità di aprirci alla comunità e alla diversità nel suo insieme. La nostra è un’esperienza a cui aderire e che puoi sentire tua.