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CIRCOLO ACLI GRASSINA (FIRENZE): INVESTIRE SULLA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE E SUL RISPARMIO ENERGETICO... IL CIRCOLO STORICO GUARDA AL FUTURO

Il 4 aprile del 1947 viene alla luce il circolo Acli a Grassina in provincia di Firenze, grazie alla spinta di Don Dino Vezzosi, allora parroco del paese. Comune limitrofo dell’area metropolitana di Firenze, è una frazione del Comune di Bagno a Ripoli e oggi conta circa quindici mila abitanti, Grassina. Per certi aspetti potremmo definirlo un circolo “tradizionale”, con il bar e le “stanze sociali” (riportano ancora la targa del "Patronato -Segretariato del Popolo") ed un grande salone.

Agli albori, il circolo si inseriva in un clima di divisioni all’interno di una Toscana “rossa”, così ci racconta Giovanni Baldi, il suo attuale presidente. Con riferimento agli anni ‘50 possiamo dire che Il Circolo Acli di Grassina fu una realtà positiva e fruttuosa; nato in funzione anticomunista, ebbe margini più ampi di libertà di colloquio e di interpretazione della realtà rispetto alle organizzazioni cattoliche.

Giovanni il circolo lo ha respirato e vissuto da sempre: il suo papà è stato uno dei fondatori e a casa di parlava sempre del circolo in parrocchia e dall’altra parte la “Casa del popolo”. I primi, avevano già aderito alle Acli sul proprio posto di lavoro. Inizialmente dei parrocchiani della zona misero a disposizione due stanze, insufficienti all’attività del circolo e solo in seguito il parroco mise a disposizione il terreno circostante la parrocchia. Si iniziò a realizzare qui un campo di calcio, inaugurato nel 1950, mentre si attendevano i permessi per aprire un cinema all’aperto, in fondo al campo. Il cinema ha rappresentato un importante incentivo alla nascita di una sede per il circolo. Si volevano porre le basi per edificare una struttura che accogliesse tutte le associazioni parrocchiali della zona. Questo sogno si concretizzò grazie anche al contributo economico della sede provinciale, ma anche per il supporto e il sacrificio di volontari e soci, che trasportarono pietre e ciottoli con abnegazione dal vecchio ponte distrutto dai bombardamenti. Si compiva in piccolo quel percorso di ricostruzione che, nel vero senso della parola, attraversava tutta l’Italia.

Pensate la significatività di questa fase del circolo, “continua Giovanni, in cui si era alla ricerca di un luogo fisico dove poter esprimere liberamente le proprie opinioni e confrontarsi, dove potersi ritrovare riconoscendosi in valori comuni. Fu inaugurato nel luglio del 1953 e da subito si pose come luogo di socializzazione e di sviluppo dei lavoratori cattolici.

Quindi che funzione ha assunto il circolo negli anni successivi? Quale cammino ha percorso?

Ha assunto una funzione centrale: fu capace di creare competenze, impegno politico, partecipazione sindacale e rappresentanza in un clima di impegno e speranza, in un periodo di grande contrapposizione. Nel 1948 era nata la società US Albor Grassina, fondata nel 1948, sul terreno parrocchiale ma non delle Acli, dedicata inizialmente al calcio e poi anche al tennis e nata in risposta a quella sportiva della Casa del popolo. Per far capire il momento. Siamo stati un punto di riferimento anche sul piano dell’aggregazione, delle attività sociali per coinvolgere i paesani e incontrarsi. Il primo campo di impegno del circolo fu l’apertura del Patronato.

Gli anni ’70 e ’80 li ricordo per l’avvio delle attività del judo, centrali in quella fase, e in seguito un fotoclub denominato K2, poi l’iniziativa “Insieme si può” attivata da un gruppo di donne che si ritrovavano insieme. Il circolo si muove in un territorio vivo dal punto di vista associativo, ricco di numerose realtà con le quali iniziata una proficua collaborazione, privilegiando le doti di accoglienza verso chiunque ne avesse bisogno. Abbiamo un salone molto grande, dove vengono allestiti spettacoli teatrali e ricordo lo chiedevano alcuni partiti politici per fare le loro riunioni. Guardiamo al pluralismo politico, dando accoglienza ad incontri organizzati da partiti diversi, purché rispettosi dei valori democratici.

Il circolo si è mostrato nel tempo molto propositivo sulla dimensione culturale, con l’organizzazione di gite, visite alle mostre, ai musei e alle conferenze. Da diversi anni si svolge una serata, molto partecipata con presentazione di poesie su temi di interesse. All’inizio un maggiore coinvolgimento era rivolto ai giovani, adesso è un’attività che guarda principalmente agli anziani.

Quanti siete?

Abbiamo più di 50 soci, tutte le sere dopo cena e i pomeriggi (dalle 15 alle 20), oltre al sabato e alla domenica, si fanno i turni per la gestione del bar. I soci sono sempre stati molto numerosi e si è mantenuta stabile la quantità nel tempo. Ad oggi ancora sono tutti volontari, forse l’unico circolo della zona, anche se la fatica e tanta e siamo stati costretti a chiudere il sabato sera, non riuscendo a tenere. Anche il teatro è gestito da soci. Ci sono delle compagnie teatrali nel circolo dei soci: dal 1999 “gli InSuperAbili” con la partecipazione di ragazzi disabili, che allestiscono delle commedie con il supporto di alcuni professionisti del settore e laboratori teatrali vari; un’altra interna si chiama “Stasera mi butto”. In totale dobbiamo tenere conto del fatto di avere tra i 280 e i 300 tesserati, non pochi. Il circolo di Grassina ha promosso al provinciale 3 presidenti (Nardini, Calvelli, Crini) ed è tuttora parte rilevante della rete associativa che anima il paese con i suoi volontari.

 

Potresti ricordare una fase di passaggio critica per il circolo?

Sì, guarda ti parlerei proprio del momento attuale. Stiamo affrontando una fase piuttosto lunga di incertezza, in cui siamo in trattative riguardo i locali e l’opportunità di continuare le nostre attività come circolo.  La proprietà del locale, essendo su un terreno della curia, era nelle mani della società Fides, della curia. Successivamente, questa società è stata chiusa e proprio il mese scorso, dopo sei anni di trattative il locale è passato di proprietà alla parrocchia. Tra il 2017 e il 2018 è arrivato il nuovo parroco e aveva accennato alla possibilità di prendere i locali e io sono diventato presidente in quel periodo lì. In un arco di tempo di un mese e mezzo in cui avremmo dovuto rifare il contratto di comodato d’uso, che avevamo in precedenza con la società Fides. Le difficoltà per un passaggio di questo tipo sono state tante, basti pensare che il rogito lo hanno fatto un mese fa con la parrocchia. In questo periodo di instabilità, tuttavia, abbiamo avuto modo di utilizzare i locali e svolgere regolarmente le nostre attività.

Un’altra svolta di non poco conto, l’abbiamo sostenuta prima del 2000, quando il tetto ha iniziato a deteriorarsi e si è presentata la necessità di rifare la copertura. Con notevole impegno economico, sono state effettuate migliorie alla struttura in generale, installando dei pannelli fotovoltaici, rifacendo il pavimento e ultimamente l’impianto di riscaldamento/condizionamento. Il consiglio dell’epoca decise di accendere un mutuo (una durata complessiva di 20 anni), per i 200 mq di pannelli fotovoltaici, grazie alla fidejussione della curia, impegnandosi a coprire le spese mensili del debito attraverso il ricavato delle attività del circolo. Oltre ad una scelta legata alla sostenibilità ambientale, si è trattato anche di un importante risparmio sull’energia, che poi ci ha permesso di attivare i lavori per l’impianto di riscaldamento elettrico.

Questo anche per sottolineare che, se qualcuno avesse intenzione di mettere le mani oggi sui locali della parrocchia, dovrebbe mettere in conto con l’impegno di restituire il mutuo. Del resto, era stato acceso nel 2008 e quando la Fides è stata chiusa esisteva già. Comunque, ora il passaggio è fatto, bisogna parlare con il parroco e non ci aspettiamo grandi stravolgimenti. Noi ospitiamo anche il catechismo e da tempo si parla dell’intenzione di dedicare uno spazio dietro al teatro, che ora è chiuso per ragioni di sicurezza, al percorso del catechismo. Ci si aspetta che attraverso la gestione di questo spazio il circolo possa affermarsi come luogo di crescita e di educazione per i giovani.

Ecco, qual è lo spazio che riservate ai giovani nel circolo? Avete avuto delle esperienze interessanti?

Ci sono dei tentativi per avvicinare i giovani, offrendo la possibilità di occupare gli spazi e cercando di impegnarli in vari progetti, con risultati spesso positivi. Attualmente troviamo maggior difficoltà a interagire con i tanti giovani che frequentano il nostro Circolo, in particolare i più giovani, e che in più occasioni creano problemi e danneggiano la struttura. Non vengono dai noi per vivere il circolo, ma frequentano il bar e spesso ci sono discussioni con i soci più anziani, soprattutto a causa di alcuni attivi vandalici e di un comportamento indisciplinato. Solo in quest’ultimo periodo però. Prima i ragazzi venivano dal percorso del catechismo e per loro era una palestra di aggregazione. Adesso sono pochi coloro che frequentano il catechismo e poi scelgono di aderire al circolo.

Sarà sicuramente anche nostra responsabilità, ma non riusciamo ad innescare un maccassimo inverso, per coinvolgerli di più. In noi è forte il desiderio di trovare soluzioni al disagio giovanile anche avvalendosi della collaborazione delle Istituzioni e del Centro di Solidarietà di don Giacomo Stinghi. In questi giorni stiamo organizzando una serata genitori e ragazzi, in cui ci sarà un esperto che parlerà del disagio giovanile e, dal momento che qualcuno fa uso di sostanze pericolose, ci sembra utile far comprendere quali possano essere i rischi. La sera alcuni soci hanno timore e non frequentano il circolo, qualcuno di questi ragazzi viene anche da fuori del paese. Come puoi immaginare c’è una diversità di vedute su come affrontare questo aspetto critico.

Quali altre attività svolgete?

Ospitiamo settimanalmente l’Associazione “Orizzonti” che dal 2002 si occupa di progetti di autonomia per ragazzi disabili e ricordo che il precedente presidente avrebbe voluto costruire un piano rialzato all’ingresso per favorire il passaggio di questi giovani e un’area notturna a loro dedicata, ma poi non è andata in porto. Da noi svolgono l’attività diurna, organizzano cene, vedono la partita della Fiorentina, ecc. Rivolta sempre a loro l’attività che teniamo con il Dojo EMPI DOJO, che settimanalmente introduce al karate un gruppo di ragazzi disabili.

Inoltre, sosteniamo la manifestazione della Rievocazione Storica del Venerdì Santo che coinvolge, per capirsi circa 300 figuranti vestiti con abiti tradizionali e poi vengono allestite delle scene a tema sulla vita di Cristo. Noi offriamo gli spazi per le prove e tutto ciò che serve alla manifestazione. E’ una cosa grossa e iniziano circa sei mesi prima le prove e la parte dei costumi è molto impegnativa.

Ampio spazio è dedicato anche alla Filarmonica Cherubini e al coro della Casa del Popolo di Grassina che effettua concerti nella sala che noi mettiamo a disposizione. Importante è anche la scuola di italiano per gli stranieri della zona e alla ginnastica dolce per gli anziani, in collaborazione con la UISP. Riusciamo a gestire molto in piccolo l’assistenza fiscale per la compilazione dei modelli 730, mentre il Patronato dopo il covid è scomparso: non siamo riusciti più a coinvolgere persone da impegnarsi in questo servizio. Con la chiusura delle scuole non dimentichiamo anche di ospitare i ragazzi nei centri estivi a conclusione della scuola, in collaborazione con la struttura accanto a noi.

Ospitiamo anche la Caritas parrocchiale. Abbiamo una stanza adibita a centro di ascolto per l’assistenza alle persone disagiate alla ricerca di cibo, abiti e lavoro. Durante il covid funzionava solo la distribuzione del cibo alle famiglie con maggiore disagio. Abbiamo un calendario davvero ricchissimo. Quest’anno abbiamo ripreso con la Caritas la “festa dei popoli”, un momento di integrazione e di scoperta delle tradizioni attraverso il cibo e lo scambio.

In che cosa vi sentite di essere Acli oggi?

Nel modo di interpretare la società in una dinamica più cristiana possibile. Nel riuscire a condividere il lavoro e le attività sociali ma vicino ad una fede che si traduca nella quotidianità; riconoscendoci in una vocazione comune e in un valore, esprimedo una vicinanza che si senta. Un’idea di apertura e di condivisione, in questo ci riconosciamo nelle Acli.

ANNI IN FUGA APS ACLI NONANTOLA (MODENA). UNA COMUNITA’ APERTA CHE SI METTE IN GIOCO NELLA PARITA DELL’ACCOGLIENZA

L’Associazione nasce nel 2017 da un comitato di cittadini già presente sul territorio di Nonantola che ha voluto mettersi in gioco nella complessa e sfidante partita dell’accoglienza. Quindi è il frutto della libera espressione di una buona parte dei cittadini della comunità, che decide di organizzarsi come comitato, a seguito dell’ondata migratoria degli anni ’90. Nonantola è un piccolo paese con una posizione strategica nella prima cintura periferica di Modena e ha accolto numerosi stranieri, anche in virtù di un costo della vita più accessibile e, al contempo, della vicinanza con il centro di Modena.

“Questi cittadini hanno sentito con forza la necessità di intervenire, entrando con le mani, la testa, il cuore e, direi, la pancia dentro le problematiche dell’immigrazione, affrontando le questioni legate all’integrazione e l’interazione di immigrati e rifugiati nella nostra comunità”.  Esordisce così, nel suo appassionato racconto, Stefania Lucenti la presidente di “Anni in fuga” e promotrice con altri del comitato.

Una cultura dell’accoglienza è già presente nella storia della vostra realtà cittadina. Nonantola è dunque, per sua natura, sensibile verso l’immigrazione, ma questo che legame ha con la nascita di “Anni in fuga”?

Questa vocazione alla solidarietà ha radici profonde che affondano nella vicenda storica di coloro che sono conosciuti come "i ragazzi di Villa Emma" del 1942. Un medico ed un sacerdote sostennero, durante la Seconda guerra mondiale, l'opera di salvataggio di un gruppo di una settantina di giovani ebrei, provenienti dall'est europeo, sottraendoli alle persecuzioni nazifasciste e ai campi di concentramento, fino alla salvezza in territorio svizzero. Per un anno i ragazzi poterono condurre a Nonantola una vita abbastanza serena, con il sostegno solidale della popolazione locale. Con l’occupazione fascista i ragazzi vengono messi in salvo, affidati ad una trentina di famiglie locali e altri nascosti nel seminterrato del seminario.

Con questa storia, quando ci siamo trovati di fronte ad una ondata migratoria che interessava il nostro piccolo paese è stato quasi naturale attivarsi, cercando di capire quali erano le esigenze di queste persone: è come se fosse stato sempre il nostro compito. Inizialmente il comitato era composto da cittadini e da rappresentanti di diverse associazioni del territorio, con un numero variabile di aderenti. Iniziammo con una serata aperta a tutta la cittadinanza, seguita da una serie di eventi, cineforum e conferenze di approfondimento sul tema, finché non inizia a concretizzarsi l’esigenza di diventare associazione. Questa scelta è dettata da motivi burocratici, considerata l’opportunità di iscriverci al registro delle associazioni, di poter partecipare a dei bandi e, quindi, poter promuovere iniziative con un carattere economico importante, cosa che con il comitato non era possibile. La caratteristica che ci distingue però è lo spirito aperto di un comitato: la nostra realtà è aperta a tutti indistintamente, anche ai non soci, perché per noi è importante il contributo di tutti e offrire l’opportunità a ciascuno di prendere parte ad un progetto così centrale per il nostro territorio. Il passaggio non è stato così immediato per tutti, a dire il vero. Solo una parte dei partecipanti al comitato ha aderito all’Associazione, pur lasciando noi la porta aperta a tutti. Ma negli anni le cose sono cambiate e anche gli altri pian piano si sono iscritti. Questo percorso è stato condizionato da un preconcetto ideologico, che ha influenzato persino me che sono la presidente dell’Associazione, pensa tu! All’epoca si riteneva, a torto, che restando comitato questa condizione avrebbe reso più ampia la partecipazione dei cittadini e più restrittiva adottando la forma associativa. Pensiero smentito nei fatti dopo, ma ogni cammino ha bisogno dei suoi tempi e di maturare consapevolezze.

Quali fasi avete attraversato dopo la decisione di trasformarvi in Associazione?

Una fase che ci ha visti pesantemente impegnati ha riguardato l’arrivo della successiva ondata migratoria a Nonantola, quella che io definisco “dei barconi” e sappiamo a cosa mi riferisco. Ne abbiamo accolti 79, cercando di sistemarli in edifici che potremmo definire di “ospitalità diffusa”, affittati appositamente per l’accoglienza in un contesto emergenziale, lavorando in collaborazione con due cooperative differenti. Dal canto nostro, la priorità è stata comprendere in che modo potessimo dare risposta alle esigenze primarie di chi si trova catapultato in una comunità nuova e sconosciuta: la regolarizzazione dei documenti, la ricerca di un lavoro e di una abitazione stabile. Queste sono state le nostre attività alimentate dall’emergenza. Successivamente, le nostre proposte, seppur rimanendo fedeli allo spirito della mission originaria, sono diventate espressione di un significato più ampio di comunità, che abbiamo voluto promuovere. Comunità intesa nel riconoscimento e nell’intreccio di tutte le sue componenti, da cui prendono le mosse progetti e attività rivolti non più solo ai migranti, ma alla collettività nel suo insieme.  

Adesso il nostro sguardo è orientato alle categorie di soggetti più fragili della comunità, con un’accezione piuttosto allargata, come migranti, ma anche donne e giovani, oppure persone portatrici di abilità differenti. Cerchiamo di intercettare le esigenze restando in ascolto del territorio.

Come organizzate le vostre iniziative? Avete instaurato dei legami sul territorio?

Sì, certo, naturalmente mai da soli, sarebbe impossibile e poco fruttuoso. La partecipazione e la collaborazione sono due pilastri del nostro operato. Abbiamo costruito una rete di collaborazione con altre associazioni di volontariato sul territorio, con l’amministrazione comunale. Per un certo periodo abbiamo partecipato ad un tavolo con il comune, insieme a delle cooperative di ragazzi migranti; un’esperienza che si è conclusa dopo un po' di tempo per ragioni potremmo dire così “politiche”.

A Nonantola abbiamo la Scuola di italiano “Frison”, un servizio del comune le cui attività sono gestite da un’altra associazione, una proposta con cui abbiamo attivato un dialogo aperto, di cui abbiamo sostenuto il lavoro. Ci cimentiamo in alcune progettualità e di recente, insieme ad altre associazioni, abbiamo vinto un bando regionale rivolto a ragazzi con abilità differenti. Il sabato pomeriggio organizziamo un percorso di attività miste presso la nostra sede: cineforum, laboratori di cucina, gite in alcune città d’arte, in sostanza iniziative dedicate al tempo libero e alla socialità. Esse vedono coinvolti giovani e ragazzi immigrati in età adolescenziale, quella fascia di età che volge alla fine della scuola dell’obbligo e che rischia di andare incontro ad episodi di solitudine e marginalità. Il nostro obiettivo è di poter creare un legame tra questi ragazzi e l’esterno, facendo interagire questo gruppo misto con altre realtà.

La modalità con cui intercettiamo le esigenze è piuttosto mista. Alle volte sono i cittadini che vengono da noi, come è accaduto per il caso dei genitori di alcuni ragazzi con abilità differenti che hanno formato un gruppo da noi supportato; in altri casi, invece, abbiamo fatto delle richieste all’amministrazione, anche insieme ad altre associazioni. Qualche volta è l’amministrazione stessa che ci contattato portandoci a conoscenza di una necessità. La nostra è una porta sempre aperta.

Abbiamo nell’Associazione anche un Gruppo di acquisto solidale, questo gruppo si è avvicinato a noi e abbiamo voluto promuovere questa iniziativa per incentivare lo sviluppo di una sensibilità verso l’ambiente e diffondere questa cultura e le sue pratiche, anche tra immigrati che all’inizio sono maggiormente preoccupati per bisogni impellenti e non di acquistare a km 0.

Nelle intenzioni vorremmo aprire un punto ristoro con un bar, ma è ancora un’idea.

Se ti dico: “Taverna del pensiero lungo”, che mi rispondi?

Il luogo in cui abbiamo insediato le nostre attività. L’incontro con la sede è stato una questione di amore a prima vista! Abbiamo adocchiato i locali di un ex negozio nella piazza di Nonantola, sfitto da tempo. Ne abbiamo fatto richiesta e la proprietà si è mostrata molto disponibile soprattutto per via della natura delle attività che intendevamo realizzare in quella sede. Ci sono venuti incontro sul prezzo, sebbene si debba riconoscere che paghiamo un affitto con un autofinanziamento derivante dall’organizzazione di cene sociali e di raccolta fondi, dalle attività laboratoriali con i bambini e da qualche altro contributo derivante dai progetti. Non mancano anche dei contributi di alcuni beneficiari che utilizziamo per sostenerci. Volevamo un posto tutto nostro che rappresentasse chi siamo e quello che ci proponiamo di fare e anche la posizione si presta a organizzare, promuovere e svolgere iniziative, aprendoci a tutta la città, nelle sue diverse espressioni, organizzative, sociali, culturali e del tempo libero. Fare in modo che potesse diventare luogo di incontro di esperienze e socialità. Questo volevamo. Ne vale la pena.

E la vostra squadra di calcio con i ragazzi richiedenti asilo e stranieri?

Adesso non c’è più. Si è trattato di una fase iniziale in cui i ragazzi che vivevano nelle case di accoglienza qui a Nonantola erano concentrati sul proprio vissuto di disagio, con un impatto psicologico significativo, e la squadra di calcio è stato un approccio utile per sperimentare legami e distoglierli da una condizione con forte rischio di depressione. Il covid ha messo fine a questa esperienza, purtroppo. La cosa interessante è che nel frattempo, questi giovani hanno intrapreso una loro strada, trovando un appartamento proprio; oppure chi si è sposato, chi ha trovato subito lavoro, insomma è andata così, non c’è stata più esigenza di aggregarsi tramite lo sport. Però ha funzionato per tre anni almeno e abbiamo giocato anche fuori dal paese con chi ci invitava. Abbiamo partecipato ad un torneo chiamato dei “Due mondi”, a cui prendono parte squadre con peculiarità diverse.

Quale è la composizione dei soci nell’Associazione, anche da un punto di vista anagrafico?

Sotto il profilo anagrafico dei soci vantiamo una grande varietà. Ci sono le persone più avanti con l’età, che coinvolgiamo nella gestione del Piedibus, il servizio bus che accompagna i bambini a scuola a piedi, un progetto messo al bando dal comune che abbiamo vinto. Una iniziativa all’insegna dell’educazione all’ambiente. Lo svolgiamo di mattina, quindi riescono ad impegnarsi pensionati e casalinghe. Poi ci sono moltissimi ragazzi giovani tra gli stranieri e non che si attivano in iniziative di volontariato, a supporto anche delle iniziative del sabato. Poi abbiamo anche una fascia di mezzo. Anche il gruppo delle donne ha età molto diverse. Riusciamo a mettere insieme esigenze e coinvolgimento a differenti livelli. Tra l’altro, se guardiamo al direttivo, ai soci fondatori, troviamo anche due ragazzi stranieri (Nigeria e Guinea) giovanissimi che hanno voluto spendersi in questo progetto. Questo credo dipenda anche dalla natura dell’Associazione.

Come avete incontrato le Acli e in che cosa potete dire di sentirvi vicini alle Acli?

Diciamo che ad un certo punto abbiamo avvertito l’esigenza di un supporto. Il tesoriere del nostro direttivo, davvero in gamba, conosceva le Acli e ci ha proposto di affiliarci nel 2019. Direi che è’ stata un’ottima decisione, tra l’altro abbiamo attivato delle iniziative comuni con il Provinciale di Acli Modena. Ci riconosciamo interamente nella disponibilità e nella grande apertura che abbiamo incontrato, un’attitudine ed un valore su cui si fonda sa sempre anche la nostra missione e alle Acli lo abbiamo ritrovato. Non da ultima la competenza delle Acli, un aspetto per nulla trascurabile e molto prezioso per chi come noi da inesperto si muove in un mondo incerto e complesso. Ogni volta che ci siamo interfacciati abbiamo ricevuto risposte utili, veloci che ci hanno aiutato a strutturarci meglio. Poi direi…. La simpatia. Si è reato un rapporto umano molto gratificante, alimentato dalla reciproca partecipazione ad eventi ed iniziative promosse sul territorio. Per confrontarci possiamo fare affidamento su un gruppo whatsapp con il provinciale, ma ci sentiamo in modo frequente telefonicamente. In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo partecipato ad una manifestazione organizzata dal CTA Acli, nei paesi caratterizzati da una storia che coinvolgesse gli ebrei. Sono venuti da noi per una giornata e abbiamo contribuito al racconto della storia di Villa Emma. Questa storia che, come dicevo all’inizio, è nel DNA della comunità e della nostra Associazione è stata valorizzata dalle Acli. Poi abbiamo organizzato un pranzo comune dove c’è stato spazio per un confronto sulla realtà migratoria attuale, dando voce ai ragazzi della nostra Associazione che provengono da paesi diversi, con il racconto della loro storia. Tale esperienza ci ha fatto sentire accolti dalle Acli e riconosciuti dall’esterno, da chi ci guarda con altri occhi.

Desideri aggiungere qualcosa a quanto hai raccontato?

Certo, guarda, questo lo devo proprio dire perché poi mi sgridano sempre. Essendo io di indole ottimista rischio di far sembrare tutto una bella passeggiata. Ecco non è proprio così. Le fatiche e le difficoltà le viviamo quotidianamente e la questione dell’allargare il numero dei volontari è sempre un nodo. Alla fine, ci ritroviamo in numero un po' sempre gli stessi ad attivarci in modo continuativo e l’affanno si avverte. Quello che, però, è più difficile da elaborare ha a che vedere con la tipologia di esperienze e di problematiche che affrontiamo: il disagio giovanile, la questione dell’integrazione, l’accoglienza della diversità, la questione degli alloggi che da noi è davvero critica. Insomma, non è il paese delle meraviglie. Il coinvolgimento è tanto, sebbene ci sia stato un ricambio tra i soci, resta un grande gruppo legato da rapporti di amicizia e fiducia non indifferenti e questo offre una grande spinta motivazionale. Tra di noi ci diciamo sempre “questo impegno è bello e ha valore finché fa stare bene anche noi”, quindi se nell’impegno conserviamo una componente ludica, di piacere e divertimento, bisogna volerci stare. Entri a contatto con storie difficile e tocchi con mano la terribile sofferenza delle persone, se viene meno il desiderio e la volontà di ascoltare e stare insieme, forse vale la pena dirselo e prendersi una pausa, con molta serenità. Siamo tutti volontari e nessun lavoratore.

Ci muoviamo in un territorio che vanta la presenza di ben 52 associazioni riconosciute, che aggiunte alle altre non riconosciute vi lascio immaginare. Siamo immersi in un mondo ricchissimo e di estremo valore, forse noi siamo riconoscibili proprio per la nostra capacità di aprirci alla comunità e alla diversità nel suo insieme. La nostra è un’esperienza a cui aderire e che puoi sentire tua.

CENTRO PARROCCHIALE OTTAVIANO GHETTI. CIRCOLO ACLI DI COLLALBRIGO (TREVISO). IL SOGNO DI UNA COMUNITA’ CHE TORNA VITALE, ATTRAVERSO LA CURA DELLE RELAZIONI E LA SALVAGUARDIA DEL TERRITORIO.

Collalbrigo è una località di Conegliano, in provincia di Treviso. Territorio che ospita non più di 500 abitanti, nel cuore delle colline del Prosecco DOCG, tra i comuni di Conegliano e Valdobbiadene. La favorevole posizione, tuttavia, non è stata sufficiente a restituire vitalità a questo borgo, spopolato e privo di attrattiva per una popolazione isolata, che manca di spazi di socialità. Un luogo di riferimento per i cittadini, dove incontrarsi e potersi riconoscere come comunità a Collalbrigo, proprio mancava. La risposta arriva nel 2005, con la complicità di Don Antonio, il parroco del paese, e di un gruppo di volontari, che danno vita al Circolo Acli denominato “Centro parrocchiale Ottaviano Ghetti”.

Io e mio marito siamo la coppia più giovane, nata e vissuta in questo territorio, non ce ne siamo andati perché avevamo un progetto, desideravamo valorizzare il nostro borgo, dargli voce insieme alle persone che ne fanno parte. Prendendoci cura del circolo Acli di Collalbrigo abbiamo voluto dare continuità a ciò in cui avevano creduto i nostri genitori, promuovendolo con altri volontari”.

Sono le parole di Michela Piccoli, cittadina, volontaria e cuore pulsante delle attività del circolo. Lei ci accompagna alla scoperta del Centro parrocchiale Ottaviano Ghetti e ci racconta di come, nel tempo, la realtà di questi luoghi si sia trasformata grazie alla presenza di quello che è divenuto un presidio ormai riconosciuto.

Continua Michela: “potevamo contare su poche cose, in particolare dopo lo stop alla sagra paesana, nessuna attività ricreativa animava la vita comunitaria; feste, momenti di convivialità, niente! Nessun bar, osteria o altro spazio in cui potersi ritrovare insieme. Ciò ha compromesso il senso di appartenenza e ha fatto sì che le persone si allontanassero. Noi con il circolo abbiamo voluto imprimere uno sguardo attento alla comunità e ne abbiamo fatto un luogo di prossimità, un punto di partenza da cui poter tornare a vivere”.

Con il tempo, anche grazie alle battaglie della famiglia che possiede parte delle proprietà del borgo, abbiamo ottenuto anche la riapertura di un’osteria storica, un segnale incoraggiante di rilancio per il paese. Tutte le attività che organizziamo hanno come obiettivo specifico il benessere della collettività, all’insegna dello stare insieme e dell’opportunità di comunicare, un aspetto che sembra scontato e che da noi non lo è.

Per comprendere quello che facciamo, è necessario sottolineare due aspetti che caratterizzano il nostro territorio: la maggior parte della popolazione è anziana, salvo la presenza di qualche famiglia con figli piccoli (non dimentichiamo che non c’è la scuola qui). Anche le abitazioni sono dislocate in maniera diffusa sul territorio, piuttosto distanti tra loro, e questo limita di molto le occasioni di incontro, anche quelle fortuite se vogliamo. Quindi, fare in modo che il circolo diventasse un luogo accogliente per ritrovarsi dopo la messa della domenica è stata una delle nostre principali intenzioni.

Tenendo conto di questi aspetti, quali iniziative avete messo in cantiere?

Possiamo affidarci ad una ventina di persone attive e coinvolte in primo piano nella realizzazione degli eventi e circa 160 soci iscritti; alcuni ci supportano ma non tutti naturalmente. Frequentando il circolo sin da quando ero bambina ho potuto constate una crescita notevole del numero dei soci. Questo consenso lo abbiamo ottenuto anche grazie al fatto che le iniziative promosse non si limitano a coinvolgere i nostri compaesani, vanno ben oltre il nostro borgo raggiungendo i paesi limitrofi e chi ci ha conosciuto vede in noi un ambiente accogliente, dove poter fare cose interessanti, che piacciono e fanno stare bene.

Abbiamo un nutrito calendario di attività legate alle ricorrenze familiari più importanti: la festa dei nonni, del papà e della mamma. Promuoviamo cene sociali per festeggiare queste ricorrenze. Dopo il covid, abbiamo attivato una sera a settimana, il martedì, l’immancabile torneo di burraco, occasione ludica per divertirsi e farsi compagnia. A luglio è il momento degli eventi culturali in piazza: spettacoli di teatro, concerti musicali, manifestazioni culturali a tema come la serata dedicata all’Unesco, oppure incentrate sulla fotografia, come un concorso, con foto che poi vengono commentate da un esperto. Inoltre, durante il periodo di Natale allestiamo la casa calendario dell’avvento, meta di visitatori importanti e insieme il concerto di Natale.

Su sollecitazione e iniziative di alcune donne del borgo, è emerso il bisogno di ritrovarsi per fare delle camminate insieme e, da due anni ormai, abbiamo creato un gruppo che si chiama “cammina con noi”. Il giovedì, ci si ritrova in un punto fisso e il gruppo cammina insieme con l’intento di stare all’aria aperta, un’attività che fa bene alla mente e al fisico. Siamo partiti in 5 e ora siamo 25. Questa esperienza è aperta a tutti non solo alle donne. Camminiamo per i boschi e i campi: con l’aiuto di un esperto tecnico agronomo e di una cuoca impariamo a conoscere le diverse varietà di erbe che offre il territorio da quelle commestibili a quelle dannose. Ci concentriamo sulle erbe selvatiche che non conosciamo, ma di cui impariamo le principali proprietà benefiche. Questa iniziativa si propone, da un lato, di investire sulla socialità e il benessere fisico dei partecipanti, ma dall’altro, intende valorizzare le risorse e potenzialità della terra a vantaggio della nostra comunità.

La dimensione della socialità è solo una delle nostre polarità. L’altra dimensione di cui ci prendiamo cura è proprio la tutela paesaggistica e ambientale, volta alla valorizzazione e sviluppo del territorio locale. Ci piace lavorare sul binomio coltura e cultura! In proposito, il circolo nel 2022 si impegna in un progetto per la salvaguardia del patrimonio ambientale, attraverso la piantumazione degli ulivi e lo sradicamento di alberi. Abbiamo collaborato tutti a questa iniziativa di grande rilevanza per il territorio. Lo sguardo si rivolge alla natura del nostro paese, per generare un’armonia, valorizzandone il decoro, in particolare l’ambiente attorno alla parrocchia e poi va nella direzione dei bisognosi. Ad esempio, abbiamo adottato a distanza una bambina dell’Uganda, con la quale abbiamo contatti e organizziamo eventi per aiutare un centro Caritas con quello che ricaviamo.

Quali spazi occupate per svolgete le iniziative?

Il borgo è di proprietà della famiglia Ghetti e in parte della parrocchia, che oltre alla chiesa e alla canonica, possiede una porzione degli altri fabbricati e occupa alcuni locali come il Centro parrocchiale Ottaviano Ghetti, che è stato fin dall’inizio uno spazio di ritrovo e incontro dopo le cerimonie religiose per i fedeli che vivono nelle case sparse della collina, dove c'era l'asilo Ghetti, voluto dalla famiglia Ghetti per i bambini della località coneglianese. L’edificio era abbandonato, adesso grazie al all’impegno del circolo abbiamo a disposizione una cucina attrezzata ed un bar, fondamentali per le nostre attività. Anche lo spazio esterno, completa la struttura, che usiamo per lo più d’estate ed è provvisto di tavoli e di giochi per i bambini.

Quali sono le fatiche che vivete quotidianamente in una realtà come la vostra?

Adesso abbiamo un parroco che, nonostante sia impegnato con quattro parrocchie, si è dimostrato molto accogliente verso le Acli e apprezza le nostre iniziative, questa non è una condizione favorevole, un supporto. La fatica è qualcosa che puoi sostenere e perfino apprezzare se ha un senso, se ne puoi toccare con mano i frutti. Questo è quello che è avvenuto con il nostro circolo: quando provi un senso di soddisfazione e amore per la tua comunità, riesci a vedere il buono, puoi dire che ne vale la pena. Un borgo fantasma che non intrecciava alcun legame all’interno e anche all’esterno, con i paesi vicini, si è tramutato in un luogo vivace, dove le persone hanno interesse a stare insieme, ne hanno scoperto il valore. Grazie al circolo. Questo paese si è persino ripopolato. Provate a immaginare la messa la domenica con la chiesa quasi completamente vuota, ora quel momento è pieno di significato, perché alla celebrazione segue l’occasione di incontrarsi e di trascorrere del tempo insieme. L’impegno che ci mettiamo è davvero tanto. C’è dietro tutto un lavoro di cura, di attenzione e di organizzazione. In una certa fase della vita del circolo, ho provato a staccarmi, almeno per un po', ma alla fine e a me che manca poter vivere questa esperienza e farlo per i miei concittadini. Io sono nata qui e in questo modo; ho respirato questo impegno, vissuto da sempre immersa nel circolo e respirato il senso di quello che si fa. Dei miei quattro figli, una in particolare ci segue e ci aiuta. Troviamo importante saper trasmette questo patrimonio anche ai figli.

Cosa vi caratterizza come circolo Acli, rispetto ad altre realtà?

Siamo Acli nel dna, nella nostra azione verso il prossimo, siamo un’associazione che promuove il bene comune e la dignità della persona. Inoltre, penso che oltre ad essere vicini alle persone e rispondere ai loro bisogni esaudiamo desideri. Non siamo solo noi a proporre iniziative e attività, la cosa interessante è che accogliamo le proposte dei nostri soci. Non si tratta solo di urgenze, necessità, ma anche di aspirazioni, sogni. Se viene in mente qualcosa che qualcuno vuole realizzare lo condivide con noi e insieme cerchiamo di trasformare in realtà questa proposta. Tra noi cittadini c’è un rapporto di convivialità, quella familiarità che permette alle persone di chiedere qualunque cosa, di esprimere i desideri. Questi sono tutti spunti per realizzare attività che poi portiamo anche fuori dal paese.

Michela accennavi ad alcune idee rispetto alla promozione del circolo e alla comunicazione, cosa intendete fare?

Con il provinciale comunichiamo piuttosto bene e le attività di comunicazione principali sono in mano a mia figlia che se ne occupa. Facciamo delle locandine e le appendiamo nella bacheca del circolo. Ma adesso abbiamo deciso di acquistare un telefono dedicato per fare un gruppo whatsapp con i soci ed eventuali simpatizzanti. Lo riteniamo basilare per accrescere il giro del circolo e entrare in contatto con tutti nello spirito anche del nostro lavoro.

CIRCOLO ACLI DI YORK (UK). CONNETTERE LE DIVERSE ESPERIENZE MIGRATORIE DEGLI ITALIANI A YORK: SOCIALITA’, SOSTEGNO E INFORMAZIONE

Silvana Poloni socia del circolo di York (UK) ci racconta la storia e le attività del circolo Oltremanica.

Da quando esiste il circolo? Come è nato?

È nato nel 2019, perché 4 di noi sono entrati in contatto con il circolo Acli di Keighley che organizzava la Festa della Repubblica, altre iniziative per la comunità e degli Incontri Passaporti. Prima di allora non sapevamo nemmeno che le Acli fossero presenti in UK. Tra le altre cose, sentivamo l’esigenza di provare a connettere le varie micro-comunità che ci sono a York, dove l’immigrazione è composta da tre grandi gruppi: l’immigrazione della seconda metà del 900 legata all’ospitalità, alla ristorazione e alle fabbriche del nord, quindi la più anziana che ormai è spesso alla seconda o terza generazione; la migrazione di giovani famiglie o di famiglie che si sono costituite a York, spesso legate all’ospitalità, ma non solo; infine la migrazione legata all’università o a professioni tecniche. Ognuno di noi quattro aveva contatti diversi e incontrandoci abbiamo iniziato a renderci conto di questa presenza che, forse non immediatamente evidente perché parecchio sfaccettata e poco organizzata, era invece massiccia e, ovviamente, portatrice di bisogni. C’erano pochissimi eventi aggregativi, ai quali partecipava solo una parte della comunità, c’era pochissimo scambio di informazioni, non c’era una rete di sostegno (se non interna ai micromondi). Ogni catena migratoria ci sembrava che restasse chiusa su sé stessa, senza aperture verso l’esterno, e questo non permetteva di cogliere le risorse presenti né di far emergere i bisogni comuni.

Una sera, trovandoci a mangiare una pizza, ci siamo chiesti se non fosse possibile costruire connessioni tra questi micro-mondi, provare a costruire qualcosa che ci permettesse di andare oltre il legame fragile e temporaneo dell’esigenza individuale immediata.

Così ad una delle feste organizzate da un privato, oggi volontaria ACLI, abbiamo fatto girare un piccolissimo questionario con tre domande aperte: Cosa manca a York? Cosa vorreste ci fosse? Come attivarci? Fatta questa super generale e casareccia analisi dei bisogni abbiamo registrato il bisogno di attività di aggregazione che coinvolgessero i bambini, soprattutto legate a quelle tradizioni italiane che in Inghilterra non esistono (ad esempio carnevale o befana). Oltre a ciò forte era la richiesta di corsi di  lingua italiana per bambini e di un sostegno burocratico (per passaporti, registrazioni nascite…). Da lì il passaggio è stato abbastanza semplice: abbiamo contattato il circolo di Keighley e abbiamo chiesto di aiutarci ad organizzare un Incontro Passaporti. Noi a York siamo lontani 2 ore di treno da Manchester e a Manchester all’epoca il consolato nemmeno esisteva e si doveva andare a Londra, che voleva dire un giorno di lavoro perso e un costo di circa 150 sterline. Grazie all’intermediazione del circolo di Keighley, e alla disponibilità della rete consolare onoraria, siamo riusciti ad organizzare il nostro primo Incontro Passaporti.

Questo è molto interessante e racconta come nasce la vostra attivazione sul territorio. Ma perché vi siete costituiti come circolo Acli? Solo perché il primo circolo che avevate incontrato era un circolo Acli? Cosa sapevate delle Acli?

Nessuno di noi era aclista, all’epoca, però io essendo cresciuta a Milano conoscevo le Acli, arrivavo dal movimento scout e riconoscevo una vicinanza di approccio. Semplicemente non avevo idea che ci fossero anche all’estero.

Per organizzare il nostro Incontro Passaporti il Consolato chiedeva di essere una organizzazione costituita e poi a noi piaceva che tutte le idee che avevamo in testa non fossero idee di singoli, che fossero di una identità più collettiva, che avessero una identità che andava oltre noi. Ci pareva che questo ci aiutasse anche a presentarci alla comunità, rendesse più semplice spiegare perché ci stavamo attivando. All’inizio, con qualche connazionale, ci fu anche un minimo di dibattito e contrasto attorno alla C di cristiani, e un'iniziale diffidenza, ma siamo andati avanti, convinti della validità della proposta. Noi ci presentiamo come Acli, non rinneghiamo la C, anche se al momento il circolo non si connota con una presenza religiosa perché oggi ci pare che forzare su questo aspetto non sia ciò di cui ha bisogno il territorio. Ma da subito, appena abbiamo deciso di costituirci, abbiamo scelto di essere Acli.

Dopo il primo incontro Passaporti come è proseguita l’attività?

Nel febbraio 2020 abbiamo fatto il nostro primo incontro passaporti, subito dopo c’è stato il covid e anche qui è stato chiuso tutto, anche se in ritardo. Noi però avevamo cominciato a diventare un punto di riferimento per tante cose e per cui, senza nemmeno avere ancora una pagina fb del circolo, anche durante la pandemia abbiamo fatto un gran lavoro di informazione sui gruppi di italiani di York e delle zone limitrofe, facendo anche assistenza da remoto per compilazione moduli (anche con supporto dal circolo di Keighley sulle questioni rispetto alle quali eravamo meno esperti) e, in alcuni casi, anche riuscendo a risolvere situazioni complicate di persone bloccate in UK o in Italia.

Poi, quando la normalità è ripresa, abbiamo continuato ad organizzare gli Incontri Passaporti, che sono stati molto partecipati anche da persone di città vicine, e sono emersi altri bisogni, che inizialmente non avevamo visto: ad esempio la solitudine delle neomamme che restavano chiuse in casa da sole. Perché il Child Care in Uk è carissimo. Nei primi 3 anni di vita dei figli le famiglie inglesi fanno gran uso di incontri genitore-bambino che però, ovviamente sono tutti in inglese. Di fronte a questo la comunità italiana si spacca in due: qualcuno riesce ad usufruire degli incontri in inglese perché conosce la lingua o perché semplicemente “si lancia” di più, oppure rientra presto al lavoro; qualcun altro resta a casa, magari arriva una nonna dall’Italia a supporto ma in generale si ha molto meno scambio e socializzazione.

Probabilmente questo è un fenomeno comune anche ad altre comunità immigrate, oltre a quella italiana. Avete pensato a provare a costruire un contatto con loro?

Recentemente abbiamo preso contatto con l’Ufficio dedicato alle comunità straniere del Council di York. Per ora sappiamo di una associazione di ucraini e di un paio di  associazioni polacche e stiamo cercando di capire se ci sono possibilità di collaborazione. Nel frattempo l’Ufficio ci ha chiesto di andare ai loro incontri del sabato mattina, anche solo per tradurre nel caso arrivino persone italiane. In effetti si potrebbe pensare che l’inglese sia conoscenza diffusa ma in realtà non lo è sempre. Allora una parte di nostro lavoro volontario, ovviamente informale, è anche accompagnare a fare il colloquio con gli insegnanti, dal dottore per una visita particolare…

Comunque, ad oggi, il punto di contatto, anche con altre comunità, è il fatto di parlare italiano, o l’interesse per la nostra cultura. E’ quello il contatto base. Ci sono anche persone che vengono da altrove ma a cui piace approfondire l’italiano.

Quindi avete iniziato a organizzare eventi aggregativi?

Si, la prima è stata una festa di Carnevale nel 2022, che è stata un successone! Abbiamo avuto l’intuizione di avere anche un angolo morbido per i super piccoli e ci siamo ritrovati una sala piena. E poi la Festa della Befana, con una simpatizzante inglese che parla italiano e che quest’anno si è prestata a impersonare la vecchietta più amata dai bambini… Insomma, abbiamo proprio toccato con mano la voglia di stare insieme, di mantenere vive le tradizioni, ma anche la voglia di costruire qualcosa oltre le feste. Qualcuno, aiutando a riordinare la sala dopo le feste ci ha detto: bello! Fatene ancora! Come faccio ad associarmi? Per noi è stato molto bello perché abbiamo risposto: dicci cosa pensi serva, cosa sai fare e come vuoi farlo e possiamo farlo insieme! Quindi le feste sono diventate più frequenti e anche il coinvolgimento delle persone è aumentato…

E poi agli incontri passaporti abbiamo incontrato diversi connazionali che sono a York da decenni e raccontano con nostalgia che un tempo c’era la Italian Society e quando è terminata si sono sentiti orfani di una iniziativa che era fatta anche di incontri grandiosi, cene eleganti e di cui la comunità italiana viveva l’orgoglio della propria identità… Quindi adesso, per Luglio, abbiamo in programma una cena rivolta più ad un pubblico adulto, per provare a riconnettere quella parte di comunità.

E voi avete allargato il gruppetto di persone impegnate…

I soci veramente sempre attivi saranno una decina, con passioni e competenze diverse e con la voglia di fare. Ma dietro a questi dieci comincia a crescere un gruppo più ampio, attivabile su cose singole. Questo ha fatto sì che diverse idee che avevamo in testa diventassero progetti e poi che iniziassero a prendere forma. Da qui, ad esempio, l’8 marzo scorso è partito il Progetto donne, un progetto di incontri tutti al femminile che si rivolge a donne e mamme della zona, con l’idea di costruire una rete di supporto informale, oltre ad offrire l’opportunità di fare due chiacchiere “all’italiana”. Una delle volontarie in Italia faceva l’educatrice e da lì è partito questo gruppo donne, aperto a donne italiane o che parlano italiano (ad esempio, donne inglesi o di altre nazionalità con mariti italiani). Una parrocchia ci ha messo a disposizione gratuitamente una sala coperta e riscaldata e così siamo partiti. Stanno per partire, su proposta di un’altra socia, due club del libro, in cui verranno letti libri di autori italiani.

Ancora, stiamo preparando il lancio di una biblioteca pop-up per rispondere all’esigenza di avere a disposizione libri per bambini e per adulti in italiano. I soci (e non solo) hanno messo a disposizione i loro libri, che stiamo catalogando, e a partire dai prossimi mesi, non appena la catalogazione sarà conclusa, affitteremo una sala in un community centre per aprire la biblioteca una o due volte al mese, al sabato mattina.

Come funziona il legame degli italiani all’estero con l’Italia a York? E’ solo un legame di lingua e di burocrazia? C’è un interesse per restare in contatto con le proprie comunità di origine in Italia?

E’ tutto molto diverso e personalizzato. Qualcuno ha scelto di tagliare ogni legame, qualcuno lo mantiene solo con i parenti, qualcuno all’inizio non cercava nulla di italiano, per integrarsi, ma dopo un po’ di anni ha iniziato a sentirne l’esigenza…

Il primo passaggio è sicuramente stato ritrovarsi tra noi, come italiani e rispondere a bisogni burocratici. Adesso stiamo iniziando ad ampliare il ragionamento, ad esempio sui diritti degli italiani nel Regno Unito. Anche perché con la Brexit la situazione è drasticamente cambiata. La Brexit è stata uno spartiacque enorme. Adesso sentiamo l’esigenza di fare qualcosa per i nostri diritti e di fare qualcosa per cambiare il modo con cui l’Italia vede gli italiani all’estero. Emblematico il fatto che non si possa votare alle Europee se non tornando in Italia. Stiamo facendo sensibilizzazione e campagna sui social, anche perché tanti non ne erano consapevoli, e ci stiamo mobilitando affinché alle prossime europee sia diverso!

Quale è il legame che avete come circolo con le altre realtà Acli in UK? O con altre realtà Acli in altri posti del mondo?

Noi siamo nati dalle iniziative di un altro circolo. E l’entusiasmo del Presidente delle Acli inglesi, Giannino, è un motore importante, così come anche la sua capacità di aggregare persone veramente diverse tra loro.  la Festa della Repubblica Italiana e altri eventi che lui organizza richiamano gente da tanti posti e sono stati di ispirazione anche per noi. Sull’essere veramente una rete tra noi, come circoli in UK, è qualcosa su cui si sta lavorando in questo periodo, devo dire con una nuova spinta legata al nuovo Consiglio Nazionale appena eletto.

Anche avere occasioni di scambio con l’Italia e con le altre realtà FAI è preziosissimo per noi. Lo è stato il percorso formativo di Subiaco l’anno scorso (e lo sarà anche quest’anno con la partecipazione di altri volontari). Importanti sono gli incontri EZA, lo sarà sicuramente il prossimo incontro dei promotori sociali esteri a Trento e l’incontro con il Papa.

Circolo Acli San Luigi (TRIESTE). Un gruppo di acquisto solidale al femminile. Per coniugare sostenibilità socialità e solidarietà.

Il circolo Acli San Luigi, è situato in un rione di Trieste con passato caratterizzato dalla presenza di moltissimi servizi e negozi per la cittadinanza. In pochi anni, ha perso la sua centralità, trasformandosi in quartiere “dormitorio”, assistendo alla progressiva chiusura di tutti gli esercizi commerciali e dei servizi primari (stiamo lottando adesso per conservare almeno l’ufficio postale e ci resta un bar). Questa condizione ha reso necessario recarsi in centro a Trieste anche solo per un pezzo di pane.

Così esordisce Valentina Benedetti, presidente del circolo San Luigi, nel raccontarci la storia, sottolineando le ragioni che hanno portato a dare vita, in questi spazi, ad un G.A.S., dall’impronta tutta femminile.   

Come è andata, quindi, Valentina, per quale ragione proprio un G.A.S.?

Sul finire dell’anno 2014 il Circolo Acli San Luigi, in collaborazione con il gruppo parrocchiale di San Giovanni (un altro rione di Trieste), ha quindi pensato di attivare un G.A.S. per rispondere alle varie esigenze, tra cui la difficoltà di reperire generi alimentari nelle vicinanze. L’esperienza - che poi è diventata un G.A.S. - è nata da un gruppetto di 5-6 donne della parrocchia di San Giovanni che condividevano la volontà di acquistare prodotti alimentari freschi e di stagione, con la necessità di coniugare il poco tempo a disposizione (tra lavoro e famiglia) per recarsi a fare la spesa nelle aziende agricole (che distano comunque circa 40 km dal centro della città), facendo a turno la strada per la spesa di tutte. Tuttavia, questa modalità incontrava delle difficoltà a causa dei continui cambiamenti negli impegni di ciascuno di noi e abbiamo trovato altre modalità. Con il passaparola dalle 6/7 famiglie iniziali abbiamo raggiunto un numero superiore alle 70 famiglie.

La scelta di attivare un Gas è stata motivata da una visione critica verso il consumo, adottando i principi di equità, solidarietà, sostenibilità, approcciando direttamente i produttori e ponendo particolare attenzione alla sostenibilità ambientale, alla solidarietà verso il produttore e alla qualità dei prodotti. La volontà è stata quella di mettere insieme produzione e condivisione, valorizzando l’importanza delle capacità creative e relazionali per costruire comunità. Si è partiti dalla conoscenza diretta che alcuni fondatori del G.A.S. avevano di un paio di piccole aziende famigliari, situate nella zona agricola di Fossalon (a circa 40 km dalla città di Trieste) con produzione di frutta e verdura, per poi allargarsi nel tempo ad altre aziende del territorio, con cui si sono instaurati rapporti di collaborazione molto proficua. Abbiamo iniziato un percorso di conoscenza delle altre realtà produttive del territorio andando presso le loro sedi, non senza incontrare difficoltà, legate prevalentemente alla novità della proposta per queste piccole aziende locali, alla loro iniziale diffidenza e alla ricerca dei metodi di lavoro che potessero essere gestibili per noi e per loro. Riceviamo parecchie offerte da parte di varie aziende verso le quali facciamo una selezione: restiamo fedeli a quelle realtà che esprimono attenzione all’ambiente e alla dignità del lavoro e alle persone, oltre ovviamente alla qualità dei prodotti.

Puoi entrare più nel dettaglio rispetto alle attività che propone il G.A.S. e a come funziona?

L’attività del G.A.S. è sempre stata rivolta ai generi alimentari, proponendo una spesa settimanale dei prodotti delle aziende a km quasi zero (frutta, verdura, carni, formaggi, miele, per un totale di circa 8 aziende) da cui andiamo a ritirare le borse spesa. Da un listino aggiornato settimanalmente (che segue la stagionalità, il clima e la disponibilità dei prodotti), ogni partecipante ordina la quantità e i prodotti desiderati per ogni azienda. Si aggiungono alle spese settimanali, le proposte di acquisto di prodotti “a corriere” o con consegna da parte del fornitore (ad esempio pasta, vino, parmigiano, arance, olio, ecc.) di aziende medio-piccole, laboratori artigianali e altro, conosciuti, provati e proposti al gruppo dai nostri gasisti, con cui si instaurano rapporti di relazione e collaborazione.

Con l’arrivo del Covid, nel 2020, e il primo lockdown, ci si è attivati per l’acquisto di mascherine (all’inizio introvabili), attivando una rete di collaborazione tra cooperative sociali locali e aziende sul territorio italiano che si sono reinventate nella produzione di mascherine, con l’obiettivo di sostenere sia queste realtà produttive, sia alcune comunità di accoglienza del nostro territorio in difficoltà di approvvigionamento. Nei vari mesi successivi, nelle zone in cui non era permesso uscire dal proprio comune, i produttori potevano consegnare a domicilio, così abbiamo stimolato la nascita di una relazione tra i nostri fornitori settimanali che, sebbene dello stesso territorio, non si conoscevano tra loro. Abbiamo ottenuto la consegna delle spese di più aziende con un unico mezzo di trasporto: a loro il riconoscimento di un’entrata economica, già ridotta in quel periodo, e per noi l’opportunità di una continuità nei rifornimenti. Tale periodo è stato caratterizzato anche da un forte incremento di domanda di spese alla Caritas, soprattutto di nuove famiglie in difficoltà; avendo ancora il vincolo di spostamento dettato dai decreti, ci si è organizzati in modo da “aggiungere degli acquisti di prodotti freschi per solidarietà” alla propria spesa. Le aziende preparavano le borse solidali che venivano poi portate direttamente alla Caritas dall’azienda di turno che faceva il trasporto delle nostre spese. Si è trattato di un ulteriore passaggio che ha consolidato il rapporto di collaborazione con le aziende, in modo particolare con la prima azienda con cui abbiamo iniziato l’attività. Quest’ultima ha continuato a donare prodotto fresco a fini solidali e la titolare è diventata, a sua volta, nostra gasista per altri prodotti.

Oltre al riuso delle scatole e dei contenitori di cartone e di plastica per i prodotti agricoli, da pochi anni abbiamo attivato una serie di collaborazioni con associazioni e cooperative sociali per il riciclo di alcuni oggetti rotti o che non vengono più usati, quali cellulari, occhiali, tappi di sughero e di plastica, ombrelli e cravatte. Sono state inoltre organizzate in un paio di occasioni incontri di socialità informata, con la visita di alcune delle nostre aziende a km zero, al fine di conoscere il ciclo produttivo, le modalità di lavoro, le caratteristiche degli allevamenti e dei prodotti, nonché le difficoltà che le piccole aziende incontrano.

La vostra è una rete “solidale”, ma in che senso?

L’aggettivo “solidale” è stato dall’inizio declinato con azioni concrete di supporto alle famiglie più in difficoltà nelle comunità rionali, ma non solo. In modo particolare la collaborazione con le parrocchie e la Caritas parrocchiale vede una continuità di rapporto con il G.A.S che riesce a donare borse spesa grazie alla continua sensibilità dei partecipanti. In occasione di eventi, purtroppo catastrofici, quali il sisma in Emilia Romagna del 2012 e del Centro Italia del 2016, ci siamo mossi per collaborare con le Acli regionali dei territori colpiti e di conseguenza con le aziende produttrici che, nel nostro piccolo, abbiamo sostenuto nel processo di ricostruzione con ripetuti acquisti dei prodotti. Il rapporto con alcune di queste aziende è continuato nel tempo, consolidandosi. Si è instaurato, inoltre, un rapporto di partenariato con alcuni altri circoli della Regione per alcuni acquisti di prodotti (ad esempio, il parmigiano reggiano) sempre in occasioni di particolare necessità. A questo si aggiunga la collaborazione con altri G.A.S. del territorio giuliano, con le quali si condividono alcune proposte di acquisto ai propri soci, con l’obiettivo di ridurre i viaggi e i costi di trasporto.

Come sostenete le attività del circolo, avete immaginato qualche strategia?

Ci tengo a sottolineare che l’attività del G.A.S. viene svolta completamente a titolo di volontariato, prestando attenzione da parte del direttivo del circolo a possibili fonti di finanziamento per poter potenziare ed ampliare le attività del circolo e del Gas. Cerchiamo di partecipare a dei bandi, ma la progettualità segue un suo iter e dei tempi burocratici che, purtroppo, non sono in linea con le scadenze delle bollette, quindi aggiungiamo a questo i contributi dei nostri soci, anche quelli storici: un contributo ad esempio per il torneo di burraco, oppure da parte delle organizzazioni che occupano lo spazio da noi. Considera che noi abbiamo uno spazio al piano terra di un condominio, con un’entrata indipendente ed un cortile, ma è uno spazio privato e paghiamo un affitto per stare lì. Siamo fieri del fatto che buona parte dei progetti presentati fino ad ora siano stati finanziati. Non parliamo di somme elevate, tuttavia importanti per il circolo. Tra questi molto utile è il bando “Effetto moltiplicatore”, proposto dalle Acli Nazionali, tramite anche a questo piccolo supporto, è stato possibile dar il via ad una nuova esperienza per la comunità di San Luigi. In collaborazione con Ugorà-Urban Gardening Ora – un gruppo informale di ragazzi del Pag-progetto Area Giovani del Comune di Trieste, che porta avanti un progetto intergenerazionale di orticoltura -, la parrocchia di San Luigi Gonzaga, proprietaria del terreno incolto da anni, e il nostro circolo Acli San Luigi hanno promosso la realizzazione di un Orto Urbano, a partire dalla primavera del 2022. Intendevamo diffondere il messaggio di valore che si cela dietro all’uso degli spazi verdi impiegati per incentivare momenti di incontro, socialità, laddove è possibile favorire la rigenerazione di vita nelle comunità che l’esperienza del covid ha messo fortemente in discussione. Per il Gas, invece, limitatamente alle possibilità di ciascuno, è previsto un contributo che confluisce in un fondo di solidarietà destinato alle famiglie in condizioni di fragilità economica. Siamo in contatto con la Caritas locale che indirizza dai noi delle persone che hanno bisogno di un supporto per la spesa.

Non vi siete fermati vero? Avete attivato altre iniziative per far crescere il circolo?

Abbiamo deciso di ampliare le nostre attività investendo sul tema del benessere, della salute e su tutte le sue declinazioni, promuovendo, ad esempio, percorsi d yoga terapia adatti a tutti i possibili partecipanti, oppure i corsi di trekkingenergy nell’ambito del progetto “Hub del benessere e della socialità” a cura dell’US Acli Aps Trieste. Quindi pittura, medicazione, yoga, laboratorio dedicato al recupero della memoria e delle storie di vita per le persone anziane. Inoltre, un deciso impulso lo ha avuto una maggiore e integrata collaborazione con associazioni del territorio affini alle Acli, con le quali condividiamo lo spazio del circolo. Questo è necessario per dare, almeno in parte, risposta ad alcune difficoltà economiche che vivono le piccole realtà come la nostra, pensiamo alle utenze e agli affitti; comunque la nostra richiesta di contributo è davvero minima e sostenibile per le altre organizzazioni e questo ci permette di offrire un ricco calendario di iniziative e attività, contaminandoci con altre esperienze locali.  

Il circolo è frequentato da famiglie con bambini e andando incontro alle loro esigenze abbiamo aperto un bookcrossing per scambio di libri, giocattoli, vestiti per bambini… da cosa nasce cosa….e lo spazio del circolo viene utilizzato anche per feste di compleanno. Insomma, siamo un patrimonio che viene messo a disposizione delle famiglie del rione. Il sostegno e la partecipazione si alimentano con il passa parola, non possedendo le risorse e le energie per poter attivare campagne promozionali dedicate, ma per ora ci basta direi.

Non ti ho ancora chiesto qualche spunto sulla nascita del circolo San Luigi. L’avvio del circolo non ha coinciso con la nascita del G.A.S. giusto?

No, no, infatti, il G.A.S. è del 2014. il circolo ha più anni. In realtà, quando sia nato il circolo ancora non si sa. Abbiamo trovato vecchie foto di alcuni giornali e delle cartoline, grazie all’opera di un volontario che ha ripulito la cantina, ma ancora è tutto da scoprire. Sappiamo che sicuramente ha più di 70 anni. Ha avuto un momento di stasi per circa 5-6 anni attorno agli anni ’60-’70, parliamo di un circolo tradizionale, dove le persone si ritrovavano per stare insieme. Poi verso gli anni ’90 ha attraversato una fase delicata dove si è cercato di capire come andare avanti e, dopo, è subentrato il nostro gruppo portando il GAS e altre iniziative.

In quello che fate e per come lo fate, cosa vi fa riconoscere di più nelle Acli, motivo per cui sentite di essere nel posto giusto?

Oh sì, oggi più di ieri devo dire, nonostante la fatica, sta nel fatto di essere maggiormente riconosciuti come punto di supporto per la cittadinanza. Si sperimenta spesso la solitudine e adesso intendiamo lavorare per diventare un punto di “microarea”, uno spazio con la presenza di un’infermiera e un’assistente sociale, dove affermare la dimensione della salute, dei diritti e del benessere, in un’ottica globale della persona, in particolare della persona anziana, le cui necessità nel nostro territorio sono in crescita. Questo ci rende volontari, se non capaci di dare risposte, comunque di orientare e dare consulenza alla persona. Il fatto di essere al fianco del cittadino, in ogni ambito, è un aspetto che ci caratterizza come aclisti; nella prossimità i nostri volontari sentono di appartenere alle Acli. Il valore della democrazia e la Dottrina sociale della Chiesa sono i due canali di riferimento rispetto alle scelte e alle dinamiche che intraprende il circolo e questo arriva ai volontari, sia che vengano dal servizio civile o da altri canali.

E’ trascorso molto tempo, ma siamo andati avanti ed i “frutti” si iniziano a cogliere. Nessuna frase poteva essere più adatta per un G.A.S. come il nostro.

Associazione Simposio Immigrati delle Acli (BENEVENTO). Incontrarsi al “CAFFE’ ALZHEIMER” Una risorsa per famiglie e collaboratrici familiari

Siamo nel Sud, a Benevento, dove incontriamo l’Associazione Simposio Immigrati delle Acli, una delle prime esperienze associative del territorio con una presenza significativa di stranieri, nata con l’intento di intrecciare il lavoro della Caritas diocesana locale e la realtà delle colf nelle Acli. L’integrazione fra culture diverse, l’accoglienza, la solidarietà e la promozione dei diritti umani sono il centro attorno al quale ruotano le iniziative e i servizi di supporto offerti alla comunità di migranti ed ai cittadini italiani del territorio, per favorire l’incontro e lo scambio alla vita collettiva. Percorsi linguistici, traduzione e interpretariato, attività aggregative e per il tempo libero, orientamento e accompagnamento al lavoro, assistenza burocratica e legale e mediazione culturale, oltre alla formazione, sono tra i principali ambiti di azione del Simposio.  

Stefania Ciullo e Chiara Santarcangelo ci aiutano ad entrare in questo spazio polifunzionale, dove le traiettorie di vita degli stranieri incontrano quelle degli italiani, all’interno di percorsi progettuali mirati rispondenti ai bisogni che, di volta in volta, emergono. Ce lo raccontano da punti di osservazione diversi, sebbene la loro esperienza converga su alcuni valori di fondo che ispirano il proprio incontro con le Acli.

Stefania tu sei nel Direttivo nazionale di Acli colf e ti occupi dello sportello colf e intermediazione del Patronato. Come nasce la tua collaborazione con l’Associazione Simposio Immigrati?

Il collegamento con il Simposio nasce proprio dall’attività che svolgo con lo sportello colf del Patronato, almeno per quel che riguarda la mia esperienza a partire dal 2011, quando io ho iniziato nelle Acli. Con il Patronato riesco ad entrare in contatto con stranieri, in maggioranza donne, che presentano problemi di lingua; oppure si rivolge allo sportello chi ha uno status di rifugiato ed il nostro compito è indirizzare queste persone verso delle opportunità di inserimento lavorativo e coinvolgerle in percorsi di integrazione. Da questa urgenza si sviluppano progettualità ed iniziative in collaborazione con il Simposio. Il servizio di Patronato, rispondente ad esigenze di carattere più operativo, funge da porta di accesso all’associazione che, dal canto suo, rappresenta lo strumento per promuovere percorsi di integrazione e di orientamento al lavoro, attraverso attività di formazione, corsi di lingua italiana e di specializzazione delle competenze. Iniziative che si prefiggono l’obiettivo di far acquisire le capacità ed i requisiti necessari per inserirsi in un circuito lavorativo. E’ interessante come questo rapporto tra Simposio e Patronato rappresenti una modalità virtuosa di relazione e scambio tra i servizi e l’associazione. Il Simposio crea opportunità per le colf e le badanti (che prestano servizio nelle famiglie), per gli stranieri, avendo cura però di sostenere anche le famiglie che, con le proprie fragilità e solitudini, hanno a che fare con il vissuto degli immigrati nel nostro Paese.

In che modo coinvolgete le famiglie al Simposio?

Una fra tante è la proposta del “Caffè Alzheimer”, del 2016, promosso dall’Associazione Progetto Vita e Simposio, in collaborazione con il comune di Benevento. Si tratta di un progetto davvero qualificante, che si propone di considerare nella sua globalità la relazione professionale ed emotiva che famiglie e caregivers (immigrata ma non solo) intrattengono. Lavoriamo sulla prevenzione e la promozione del benessere, soprattutto, laddove si presentano circostanze delicate, come avviene per l’assistenza ad anziani affetti da demenza senile. Nel nostro territorio, la diffusione dell’alzheimer affligge numerose famiglie, per questo abbiamo deciso di dedicarvi una iniziativa specifica. Il progetto di articola in attività differenti, nel tentativo di sensibilizzare le lavoratrici e le famiglie, così come la comunità, su questo difficile cammino e di costruire una rete sociale di supporto per chi è chiamato ad affrontare una simile patologia. Familiari e assistenti familiari sono inseriti all’interno di un percorso di accompagnamento e sostegno psicologico, per migliorare la qualità della vita dell’utente e dei suoi cari, contrastando l’isolamento, le paure e la poca conoscenza della malattia e del suo decorso. Una delle iniziative proposte si ricollega alla formazione delle badanti. Siamo di fronte a due realtà opposte: le lavoratrici che fanno questo mestiere da tanto tempo e che sono esperte nella gestione dell’utente malato non sono disposte ad accettare l’incarico; mentre chi si trova alle prime armi, è favorevole ad assumere l’incarico, ma ha bisogno di familiarizzare con l’alzheimer e di acquisire adeguate competenze. Noi interveniamo su questo. L’altra parte in gioco sono le famiglie, quasi sempre inconsapevoli dei vari stadi della malattia e ignare di ciò che le aspetta. In particolare, la quarta fase è considerata critica e, grazie ad una serie di incontri che organizziamo, cerchiamo di fornire alle famiglie strumenti informativi e operativi per affrontarla in modo preparato. Non dobbiamo dimenticare che molte famiglie non sono in condizione di permettersi una badante, se si considera che per questa tipologia di impiego piuttosto oneroso le lavoratrici richiedono somme retribuite fra le più elevate. Quindi, cerchiamo di orientare verso progetti, iniziative o strategie di supporto rivolti alle famiglie, per consentirgli di accedere ad alcuni fondi o linee di finanziamento con cui coprire almeno una parte delle spese da sostenere per una collaboratrice.

Il nome “Caffè Alzheimer” nasce dall’idea della convivialità, di un gruppo di persone che condividono esperienze davanti ad un caffè, incontrandosi per socializzare, informarsi e sostenersi a vicenda, perché non si può fare da soli. Le attività devono essere alternate perché usiamo un unico salone come spazio per gli incontri, anche se alcuni incontri vengono realizzati in altri enti che collaborano con il Simposio.

Quali altre problematiche incontrate in Associazione, Stefania?

Già dal 2011, quando io arrivai abbiamo dovuto affrontare delle situazioni delicate, facendoci carico di esperienze di inserimento lavorativo drammatiche, con vissuti di sofferenza che faticavano ad emergere. Attraverso lo sportello di Patronato si riusciva a cogliere il disagio di alcune donne vittime di violenza domestica (fisica e psicologica), così grazie al Simposio abbiamo provato a sperimentale modalità di supporto e aiuto, tenendo conto della riservatezza dei casi e della difficoltà nel condividere esperienze così traumatiche. Abbiamo messo a disposizione dei questionari anonimi, mediante i quali abbiamo raccolto le storie nel totale anonimato, creando uno sportello di ascolto. Non potendo agire individualmente su ciascun caso, abbiamo attivato dei percorsi di sensibilizzazione e confronto sul tema, con il supporto di una figura qualificata. Questa iniziativa si è conclusa nel 2013 ed è stata davvero utile. Ma ancora oggi, trovandomi a gestire i contratti e a conciliare con le famiglie, ho l’occasione di ascoltare di situazioni complesse che trapelano nelle conversazioni con le donne. In questo modo ho l’opportunità di segnale il caso individuale, su cui è possibile poi intervenire. Parliamo però del singolo caso.

Quando ho iniziato ad occuparmi dello sportello di intermediazione mi sono trovata di fronte ad una realtà abbastanza sconcertante, che mi ha scosso profondamente e che ancora mi porto dentro. Dietro alla richiesta di una badante, da parte delle famiglie, spesso si celavano intenzioni di altra natura. Io chiedevo di compilare una scheda per evidenziare le esigenze familiari, che mi consentissero di individuare il profilo più adatto alla richiesta e le principali caratteristiche segnalate, il più delle volte dal figlio dell’assistita, erano legate all’aspetto fisico della lavoratrice (doveva essere giovane, bella, accogliente, disponibile, ecc.). Non sono stati rari i casi in cui abbiamo inserito una badante in famiglia che poi veniva sequestrata, diventando vittima di molestie sessuali. Col tempo abbiamo aperto gli occhi, imparando a cogliere i segnali, a riconoscere i casi sospetti, ad approfondire, nella consapevolezza di trovarci di fronte ad un bisogno di tutela. Personalmente ho maturato il necessario distacco, che mi consente di essere vigile e più circospetta, di capire meglio quale sia davvero il livello di affidabilità della famiglia: però capisci che significa trovarsi tra due fuochi, da un lato la famiglia che vuoi aiutare e da cui vieni presa in giro; dall’altro una donna che, come in un confessionale, ti racconta i dettagli del suo dramma e ti mostra anche le foto. Ti senti responsabile, accade anche questo e devi farci i conti, per aiutare le persone devi stare dentro le situazioni.

Sono circostanze difficili da affrontare e forse agli inizi non immaginavate di dover gestire queste situazioni. Quando è nata l’Associazione Simposio a quali esigenze pensava di dare voce?

Nasce nel 2009 circa, quando cresce la consapevolezza di una presenza numerosa di immigrati nel nostro territorio, che manifestano la necessità di affermare una partecipazione alla vita della comunità, nel rispetto della propria identità, confessione religiosa, tradizione e cultura. Per rivendicare le proprie istanze. Non erano presenti, allora, progetti di supporto o attività di inclusione che potessero rispondere a queste urgenze. All’inizio, quindi, questo è stato l’intento con cui nasce il Simposio: progettare proposte rivolte alla popolazione immigrata nell’area della provincia. Tuttavia, l’integrazione e la costruzione di una società inclusiva sono processi che necessitano della concomitanza di più dimensioni e del coinvolgimento di molteplici attori: per questo, si è scelto di indirizzare le proprie iniziative non più esclusivamente alla popolazione migrante, ma anche ad altri. Adesso capita spesso di attivare corsi di formazione con una presenza di italiani superiore a quella degli stranieri, ad esempio. Ci sono attività, come gli appuntamenti aggregativi di Natale e di Pasqua, che organizziamo per lo scambio degli auguri e per creare situazioni di incontro e confronto, a cui partecipano le famiglie rifugiate, con bambini, che scappano dalla guerra, ma anche famiglie di italiani che vogliono contaminarsi. Vogliamo far capire che le Acli ci sono e che siamo vicini alle persone, indipendentemente dalla loro provenienza.

Abbiamo organizzato anche degli incontri finalizzati all’integrazione, usando il cibo come occasione di scambio culturale. Un gruppo di donne ha preparato del cibo del proprio Paese di provenienza spiegandone le caratteristiche, per fare gruppo e conoscere le usanze delle altre; hanno il giovedì libero e la domenica e organizziamo questi momenti in quei giorni della settimana. In proposito, con il sindaco stiamo lavorando per individuare una struttura per poter ospitare queste lavoratrici che nei giorni liberi non possono restare in famiglia e non sanno dove andare a dormire. Le abbiamo indirizzate alla Caritas, tuttavia pensiamo sia necessario trovare una situazione non emergenziale, ma più stabile e duratura.  

Le attività che il Simposio svolge con continuità riguardano la formazione delle colf-badanti e i corsi di lingua italiana. Da quattro anni, sono attivi percorsi di formazione, una edizione per ogni anno, rivolti ai lavoratori del settore domestico per qualificare professionalmente le persone in colf generico polifunzionale, specialistico baby- sitter e badante. Durano tre mesi e l’ente di formazione rilascia un attestato che ciascuno può utilizzare per lavorare. Poi con la collaborazione dell’Università di Siena ci occupiamo dei corsi di lingua, dove si impegna attivamente la nostra Chiara.

Chiara tu sei una volontaria di servizio civile, che sta concludendo il proprio progetto alle Acli di Benevento e il tuo coinvolgimento nei corsi di italiano per stranieri al Simposio è stato orientato da una formazione in mediazione linguistica e culturale all’Università degli stranieri di Siena, giusto?

La questione dell’empowerment, della cura e dell’integrazione degli stranieri è il tema principale del progetto di servizio civile a cui ho scelto di aderire, dal titolo “Il mondo della cura”, in un contesto come quello delle Acli a Benevento, sensibile alle problematiche dell’immigrazione, con la presenza del Patronato, delle Acli colf e di una serie di servizi rivolti agli stranieri. La mia formazione è la conseguenza di un interesse che coltivo da tanto e che ha trovato un’interessante applicazione nella mia esperienza al Simposio Stranieri. L’ambiente armonioso e accogliente dell’Associazione mi ha offerto l’opportunità di maturare competenze professionali importanti e di vivere un’esperienza positiva e gratificante, confermando il desiderio di insegnare italiano agli stranieri in futuro.

Cosa potresti raccontare delle attività che ti hanno vista coinvolta nell’Associazione Simposio e nelle Acli?

Con la supervisione della mia OLP ho supportato le persone nelle pratiche relative alla domanda e all’offerta di lavoro per donne straniere, per lo più rumene, russe ed ucraine. Alcune donne sono in Italia da poco e non conoscono la lingua italiana, ma grazie allo sportello immigrati del Patronato, nella stessa sede del Simposio, sono stata supportata da una mediatrice linguistica che ha reso possibile la mia interazione con queste donne. Ho potuto sperimentarmi nei corsi di lingua, potendo aiutare con l’insegnamento dell’italiano. I corsi del Simposio permettono di ottenere la certificazione di lingua italiana in collaborazione con l’Università degli studi di Siena, dal livello A1 fino al B1. L’opportunità di fare domanda per la cittadinanza italiana per un immigrato è legata al riconoscimento di una certificazione B1, mentre l’attestazione di un livello A2 consente di richiedere il permesso di soggiorno di lungo periodo. Quindi, è possibile immaginare come sia importante questa opportunità dei corsi per gli stranieri. Per me è stata un’avventura, non sono soltanto corsi di lingua. Io li vedo come un dare e avere, una straordinaria opportunità per conoscersi, costruire legami, perché lo scambio culturale passa attraverso queste interazioni, in cui loro raccontano di sé, del proprio Paese: io offro il mio contributo, mettendomi a disposizione dei partecipanti, cercando di motivarli, studiando per dare risposte alle loro domande e loro, attraverso il proprio impegno e partecipazione, mi restituiscono momenti di grande crescita umana e professionale.

Ti sei occupata solo dei corsi di lingua?

No, ho avuto occasione di conoscere chi è stato inserito nelle attività lavorative di pubblica utilità grazie all’azione dell’Associazione e delle Acli, che collaborano con il Tribunale per questo. Faccio parte anche di GA Benevento che si è ricostituita da poco e con il mio gruppo a Natale abbiamo organizzato un momento di aggregazione e di festa per i bambini, figli di famiglie immigrate con le quali abbiamo contatti tramite il Simposio e le Acli colf. Abbiamo organizzato una tombolata e dei laboratori creativi. Tra l’Associazione, i servizi e il resto delle Acli c’è una bella sinergia e una fruttuosa contaminazione di cui beneficiano le progettualità di Simposio.

Per il futuro…. Sono dentro all’Associazione e mi piacerebbe restare per offrire quella disponibilità con cui è possibile andare incontro agli altri. Ho imparato che al Simposio facciamo questo!

Il Foyer delle famiglie (Asti): il luogo che fa nascere un GASFF (Gruppo di acquisto solidale delle famiglie del foyer).

Un circolo Acli, il Foyer delle Famiglie, nel cuore del centro storico della città di Asti, al fianco della Cattedrale, nato ormai più di una decina di anni fa, all’interno dell’antico complesso conosciuto come Opera Pia Caissotti. Un luogo di incontro e condivisione aperto alla città, quello di cui la città aveva bisogno.

Mauro Ferro, presidente provinciale Acli e consigliere del circolo, ne parla con noi come si fa con qualcuno di famiglia, con un concittadino legato al proprio territorio e così facendo ci apre le porte del Foyer.

Prova a guardare indietro, alle origini del vostro Circolo. Cosa vedi?

Vedo la Parrocchia della Cattedrale di Asti, vicina alla sede provinciale Acli (questa prossimità con la parrocchia da subito ci fa sentire a casa) che ha avuto in gestione un’Opera pia. Ad oggi l’Opera pia è ancora proprietaria della struttura che ospita il circolo nei pressi della Cattedrale. Due locali piuttosto grandi, con delle potenzialità enormi, diventano le fondamenta di un progetto più ampio: oltre ad essere un luogo di ritrovo e di aggregazione per i soci, ci si propone di diventare un luogo di accoglienza e al contempo di stimolo per tutta la città. Il parroco è amico delle Acli da tempo e, già da quando si trovava in un’altra parrocchia, aveva manifestato l’interesse di affidarci una struttura. Non volevamo uno spazio statico, che rispondesse alle esigenze di incontro dei soci, ma un luogo vivo, aperto alla comunità, sensibile alle diverse necessità, mediante un movimento dal dentro al fuori e viceversa. Un luogo politico, alla maniera aclista, con un presidio nel territorio, capace di offrire delle opportunità, di essere una presenza significativa vicino alle persone. A quel punto avevamo ottenuto lo spazio necessario, le mura, e diventava possibile far crescere questo pensiero.

Se ci sofferma sul nome “Foyer delle famiglie” si immaginano due caratteristiche principali del vostro circolo è vero?

Non è certo stato un caso il fatto di inserire nel nome un riferimento alle famiglie questo sì. Il termine “Foyer”, se non sbaglio, dovrebbe essere stato un’idea di Don Paolo, l’attuale parroco che sta per andare via a breve. Il nostro era uno spazio abitato da suore che, nell’ultimo periodo, gestivano una sorta di pensionato per ragazze e, prima ancora, è stato un orfanotrofio. L’opera pia Caissotti, legata a vecchi lasciti di alcuni Vescovi, si rivolgeva principalmente all’infanzia, ai ragazzi senza famiglia. In quello che potremmo chiamare il refettorio, sono rimasti due tavoli grandi e un camino. Penso che il nome Foyer dipenda dal camino, come il logo del nostro circolo. E’ possibile che con lo stesso termine si possa indicare anche una casa di accoglienza per senza tetto, che fornisce svariati servizi. Penso, tuttavia, che sia una questione anche di vezzo e il voler restituire l’immagine di un luogo caldo e accogliente, in particolare per le famiglie, anche se successivamente l’idea si è ampliata a tutti. Inizialmente le famiglie erano il centro del circolo, ma ora non è più così.

Ma qualche attività specifica indirizzata alle famiglie la state realizzando?

Al momento abbiamo dei corsi di lingua italiana per stranieri, in particolare per i minori non accompagnati che non possono frequentare i corsi ufficiali, quelli del CPIA e lo curiamo insieme ad un’altra associazione, gratuitamente. Si tratta di un percorso propedeutico all’inserimento in altre strutture scolastiche. Sul piano delle iniziative vere e proprie per la famiglia, direi che ospitiamo le attività dei gruppi di famiglie parrocchiali e diocesani, non abbiamo strutture o corsi per il supporto psicologico perché non abbiamo disponibilità di competenze. Non realizziamo attività in proprio, ma abbiamo uno spazio ad uso esclusivo delle famiglie che mettiamo a disposizione.

Quindi il circolo si è molto trasformato nel tempo, in che modo?

Abbiamo avuto sempre una importante adesione, dipende anche dagli anni, come per tutti, ma ad oggi direi che siamo intorno ai 300 soci circa. L’80% forse sono famiglie, siamo riusciti a tesserare anche il Vescovo. Lo zoccolo duro di soci attivi con una certa regolarità è di circa 70 persone, ma riusciamo più o meno a coinvolgerle con più frequenza un centinaio. Guardando il Foyer delle famiglie adesso direi che è stato capace di slegarsi dalla parrocchia diventando più autonomo nella sua gestione, un percorso che ha richiesto tempo. Volendo individuare un momento che ha segnato un cambiamento importante per il progetto del nostro gruppo, potrei forse citare il covid. Un evento inaspettato e tanto meno voluto ma che, in collaborazione con la sede provinciale delle Acli, ci ha spinto a promuovere una serie di iniziative legate al tema della cura, fruttando oltre ai locali, anche il cortile esterno. Era d’estate e bisognava rispettare il distanziamento. Questa scelta ci ha permesso di dare vita ad una manifestazione che sentiamo vicina, intitolata “Senza perdere la tenerezza”. Un festival che intreccia i temi della cura, dell’accoglienza e dell’ambiente, integrando con altre questioni che ci sono più care. Nel 2019, ad esempio, ci siamo occupati della città e del modo in cui affronta la cura, attraverso la promozione di un modello di sviluppo più inclusivo, come ci insegna Papa Francesco. Ti racconto questo perché guardando indietro credo che la pandemia per noi abbia davvero rappresentato uno spartiacque, perché, nel confronto con altre strutture della città che hanno dovuto chiudere, poter disporre di uno spazio fisico gestito nella maniera adeguata, sensibile alle esigenze delle persone, poteva essere davvero il luogo che mancava. Uno spazio fisico che si apre alla città e diventa circolo nel modo in cui noi lo intendiamo, luogo generativo e pulsante, che non solo accoglie ma crea delle cose, crea occasioni di incontro, fa in modo che le esperienze crescano. Si cimenta nella presentazione di libri, ospita associazioni che richiedono un posto dove incontrarsi, si impegna nella realizzazione di attività culturali, muove pensieri e persone. Insomma un volano che è andato alimentandosi con una presenza nell’oggi molto significativa. Ci piace pensare che abbiamo ampliato anche il numero delle realtà associative che ospitiamo, molto diverse da noi che però nel circolo hanno trovato casa, alimentando lo scambio e il confronto.

Che significato ha per voi la gestione degli spazi, la possibilità di metterli a disposizione per altri?

Per alcuni di noi che hanno una visione più ampia del territorio è parso da subito chiaro che offrire ad altre realtà la possibilità di occupare i nostri spazi, sarebbe stata un’occasione di crescita anche per avvicinare i giovani. Qualche volta agganciamo gruppi informali con i giochi da tavolo, oppure abbiamo dato una stanza ad un gruppo di giovani che si fanno chiamare “Ultima generazione” che però sono fuori dal nostro giro. E’ più facile con chi viene da fuori perché qui i giovani fanno più vita di parrocchia e meno di circolo. Dare lo spazio è invece un aggancio per provare a far crescere anche i giovani nella loro attività lavorativa, coinvolgendone altri. Questa è un’idea che abbiamo chiara in mente, anche se comprendiamo che è una scommessa, nessuna garanzia.

Direi che questa è una nostra qualità interessante che, mi rendo conto, può essere compresa appieno solo per chi è parte del nostro territorio, lo vive e lo comprende. Asti è una città governata dalle destre che sta facendo molta fatica. Ci sono pochi spazi pubblici, ma anche privati, luoghi di circolo dove promuovere una crescita comune con la città, dove le persone si riconoscono e possono essere accolte, dove possono portare dei contributi, una visione. Dare ospitalità nei nostri spazi ha un significato più ampio, ci offre l’occasione di diventare un riferimento per molti, anche se non per tutti, perché come dice Manfredonia, siamo comunque di parte. E con noi le Acli. Questo scambio porta dei vantaggi: siamo dentro molte reti, cerchiamo di mantenerci come dire “liquidi”, creando anche un buon equilibrio tra sede Provinciale e circolo. Poi sarà il tempo a dirci se siamo cresciuti, non in termini numerici, ma di consapevolezza, di apertura, di nuove attività.

Se restiamo in tema di passaggi, avete fatto una scelta che ha dato un’impronta riconoscibile al circolo, una nuova sfida con cui misurarvi?

Una delle nostre soddisfazioni più grandi è stata, la creazione del GAFF (gruppo di acquisto Foyer delle famiglie), forse la novità che ci caratterizza in modo interessante, ci tendo a sottolinearlo. Abbiamo, infatti, dato vita da qualche tempo a questo gruppo di acquisto informale legato al circolo, piuttosto grande e partecipato, che opera con modalità un po' soft rispetto ad altri, con alcuni che animano il gruppo per decidere quale campagna lanciare. Comprende famiglie e persone che non frequentavano il circolo, quindi con la sua nascita, abbiamo potuto allargare la base associativa, connotandoci per alcune scelte significative in tema di sostenibilità e di attenzione alle realtà produttive non tradizionali. Le aspettative iniziali sono state, per buona parte superate: individuare produttori e prodotti biologici per andare incontro alle esigenze del gruppo; collaborare con i piccoli produttori locali rispettosi dell'ambiente; promuovere acquisti da realtà cooperative, in particolare cooperative sociali, che coniugano le proprie attività di produzione con la sensibilità verso il sociale. Ad esempio, lavoriamo con la coop. “Esperanto” che coltiva in Campania con un terreno confiscato alla mafia; poi collaboriamo con la coop. agricola “Maramao”, dove sono occupati dei ragazzi migranti e con una coop. che distribuisce caffè della Colombia. Infine, la collaborazione si è estesa alla comunità di Bose che, ad Ostuni, produce olio EVO. Le attività del gruppo di acquisto si estendono anche a momenti di incontro con i produttori, di approfondimento sulle tematiche ambientali, alla realizzazione di serate per degustazione di prodotti tipici. Il gruppo ha generato buone pratiche e ampliato le potenzialità del circolo.

Ma non ci fermiamo qui. Un anno fa circa abbiamo aperto anche un bar con mescita, una decisione che è stata maturata con calma, e che prima di realizzarsi ha richiesto un po' di tempo e ponderazione. Abbiamo una cucina a norma, in regola con la asl e facciamo piccola ristorazione, ma solo per chi usufruisce dei nostri spazi per fare riunioni, incontri, ecc. Le due cose sono legate e anzi, avere l’opportunità di preparare dei pasti anche semplici ha incrementato il numero di associazioni che si rivolgono a noi per richiedere un posto dove stare. Noi chiediamo a tutti di fare la tessera, non perché il numero di tessere sia il nostro obiettivo, ma ci interessa poter condividere con altri i nostri principi. Per far capire cosa intendo, vorrei fare l’esempio di queste ultime settimane, riguardo la nostra adesione alla rete Welcoming Asti che promuove i valori dell’accoglienza, della giustizia sociale e della pace con cui ci attiviamo per delle iniziative e dei presidi. Al Fayer abbiamo ospitato la “Rete” per un percorso di formazione di tre incontri sull’accoglienza, che però noi abbiamo contribuito a caratterizzare molto, offrendo la nostra impronta come Acli, con un docente di Milano che ha trattato la questione delle frontiere sociali e culturali e poi esponenti esperti delle frontiere vicine al Piemonte.

La sfida più recente è stata quella di assumere una persona per la gestione del bar. Ci piace essere corretti e fare le cose in regola, poi volevamo offrire un’opportunità ad un uomo che faceva l’informatico e ad un certo punto cercava un’altra strada. La sua presenza ha un valore per noi dal momento che è in grado di creare occasioni di incontro.

Detto questo che c’entra siamo comunque il circolo dove si viene volentieri anche semplicemente per passare un’ora in compagnia e poi andar via.

Due battute finali sul futuro?

Nel prossimo futuro, direi che il cambiamento del parroco non è di poco conto. Il circolo potrebbe diventare una palestra per sperimentare nuove formule, nuove idee. Poi dipende da chi arriverà. Però ad esempio noi abbiamo immaginato di poterci porre come acli provinciali ma anche come circolo, come cerniera tra il mondo cattolico e il mondo laico, pur con la fatica che questo comporta a causa di alcune chiusure che delle Associazioni si portano ancora dietro. Noi vorremmo provare a ragionare e intrecciare alcuni ragionamenti con tutti, su delle questioni è più complesso, ma se lo fa il Papa potremmo provare anche noi.

Noi immaginiamo di restare un circolo vero, un luogo aperto, accogliente e quanto più possibile destrutturato, che possa essere frequentato senza necessità di troppe programmazioni. Ci rendiamo conto che è complesso, ancor di più ora con un dipendente, ma su questo ragionamento siamo ancora in cammino, ma vorremmo andare in questa direzione. Dobbiamo porci anche la questione di alcuni spazi inutilizzati dell’edificio. Abbiamo una saletta dove organizziamo corsi di ginnastica dolce al momento, ma poi ce ne sono molti altri. Il circolo potrebbe concorrere alla gestione di questi spazi al secondo piano. Insomma le prospettive ci sono, andranno prese delle decisioni, ma la condivisione di fondo è ampia nel circolo.

Circolo Acli Oscar Romero di Ciserano (BG): Un circolo sotto il cappello dell'incontro tra le tre grandi religioni che riscopre il lavoro

Il circolo Acli Mons Romero di Ciserano (BG). 

Chiacchierata con Franco Moro e Aldo Donzelli in occasione della Giornata Nazionale dei Promotori Sociali del Patronato Acli. 

Il circolo Acli di Ciserano, è nato negli anni 60, da qualche parte abbiamo foto delle manifestazioni del primo maggio di quegli anni, foto di piazza… C’era già un altro circolo Acli a Zingonia, nel quartiere operaio, ce n’erano altri a Ciserano, Verdellino, Boltiere... Poi sono state fatte scelte pubbliche che hanno portato a tante discussioni... è stata fatta l’ipotesi di una scuola unica a Zingonia, per tutti. La gente ha rifiutato e se lo ricordano ancora tutti, la “rivoluzione dei banchi” con tutti i genitori con i banchi in testa, che li riportano da dove sono arrivati. A ripensarci adesso, a distanza di anni, chissà cosa sarebbe stato se la storia fosse andata diversamente…ma, vista a quei tempi, la proposta sicuramente non andava bene. I palazzoni di Zingonia erano un fatto speculativo, accettare di svuotare i paesi per spostarsi lì voleva dire snaturare tutto il territorio. Di 5 comuni esistenti se ne voleva fare uno unico, invece si è raggiunto il contrario, in fondo oggi ognuno dei Paesi ha il suo “quartiere Zingonia”. In questo periodo il circolo è andato avanti, con fasi vive e fasi un po’ silenti…

Voi quindi siete presidente e vicepresidente del circolo?

Beh, in realtà io non sono più vicepresidente, da qualche settimana. Mi sono appena dimesso e abbiamo eletto una nuova vicepresidente, che è la ragazza che sta terminando il suo servizio civile presso di noi e che, tra le altre cose, è musulmana

Una vicepresidente donna, giovane e musulmana? Interessante, ci sono stati tanti anni di dibattito su questo in tanti momenti formativi Acli… ma forse oggi anche la Chiesa è cambiata…Anche altre associazioni cristiane stanno facendo nascere opportunità di accoglienza di persone da altre religioni…

 

Devo dire che la domanda di se fosse lecito o meno non ce la siamo proprio posti, per noi è stata una cosa naturale e di senso. Ci sono già state varie presidenti donne del circolo e poi la comune radice di Abramo tra le grandi religioni è uno degli assi portanti per noi, da sempre e anche ultimamente abbiamo riproposto un percorso di approfondimento su questo. E con l’esperienza di Molte fedi provinciale, la riflessione su questo è molto avanzata. Inoltre ci ha molto colpito perché, quando è arrivata, ha voluto molto approfondire tutti gli aspetti, seriamente, non ha avuto un arrivo alla leggera. Poi abbiamo condiviso un anno e oggi che è molto attiva e che sta finendo il servizio civile è venuto naturale farle questa proposta e lei e tutti l’hanno accettata molto volentieri. 

Cosa ha portato alla rinascita come circolo, dopo la fase un po’ “silente”? 

Eravamo tutti ragazzi dell’Oratorio, c’è stato un cambio del curato, che era quello che ci aveva un po’ formato a tutti noi, siamo entrati un po’ in contrasto con la parrocchia e ci siamo posti il problema: cosa facciamo?  Eravamo stati formati alla sensibilità sociale, alla continuità dell’azione, ci siamo posti la domanda su come proseguire la nostra formazione al sociale, da lì è nata l’idea di fare le Acli. 

E perché proprio le Acli? Come le avevate conosciute? 

Io da ragazzo ero metalmeccanico, le vedevo le Acli, quando facevamo le manifestazioni, un gruppo sparuto di bandiere bianche in un mare di bandiere rosse. Erano pochi, ma erano sempre presenti. Non conoscevo bene cosa facevano ma il primo aggancio è arrivato da lì. Poi siamo andati a parlare con il provinciale e abbiamo fatto un percorso formativo con loro, questo ha aiutato a valutare la compatibilità…


Quali sono state le principali iniziative?   

Beh, negli anni c’è stato davvero un po’ di tutto! Per esempio il Progetto Abraham è stata una bella cosa ed è un filo conduttore che torna, nel tempo.  Visto che eravamo in zona di piena immigrazione, siamo partiti con il progetto MOPL, Movimento primo lavoro, poi abbiamo fondato la cooperativa sociale 19 luglio che è stata banco di prova per la nascita dei centri di aggregazione giovanile in provinciale di Bergamo. Ci sono pubblicazioni in giro su questo in cui siamo citati. Io ero il presidente della cooperativa, perché come presidente anche del circolo davo più garanzia morale di indirizzo unitario. A cavallo tra circolo e cooperativa è nato il progetto “Abraham, unica fede per tre popoli”, siamo stati tra i primi a livello italiano, è venuto anche il presidente nazionale di quel periodo, Luigi Bobba, a visitarci. E’ stata un’esperienza che abbiamo realizzato con il contributo di Regione Lombardia e provincia di Bergamo e con un mutuo nostro, come cooperativa, da più di 1 miliardo. L’iniziativa prevedeva la costruzione di appartamenti che poi, in parte, sarebbero stati assegnati in affitto e alcuni appartamenti che sarebbero stati assegnati a persone in difficoltà. Inizialmente l’accoglienza doveva essere temporanea, poi però ci siamo resi conto che serviva stabilità e abbiamo assegnato a famiglie per tempi un filo maggiore. Siamo andati avanti fino a che l’iniziativa ha retto. Poi, in quello che oggi si chiamerebbe housing sociale, sono entrate cooperative da tutta Italia, con gestione folle dei costi e noi nella nostra dimensione non reggevamo più. Si rischiava di perdere tutto, allora abbiamo scelto la fusione con un’altra cooperativa “Lavorare insieme”, sempre nata da MOPL, che poi era andata più in autonomia, come è anche normale per le cooperative: ci sono bilanci, decisioni da prendere, risposte da dare… non sempre è compatibile con le modalità di discussione associativa… Ci siamo fusi con loro. ma abbiamo mantenuto i rapporti, ad esempio la giornata di apertura dell’anno sociale 3 anni fa’, l’abbiamo fatta lì. 

Ci sono stati periodi più faticosi, come circolo, oltre che come cooperativa? 

Negli anni a cavallo tra il 2000 e 2015 c’è stato un po’ un tenere acceso il lumicino che magari non vedeva tanta prospettiva, ma che è stato ciò che poi ci ha permesso di rilanciare e passare il testimone. In parte eravamo in una fase di vita per cui le famiglie chiedevano più attenzione, in parte non mi ero trovato tanto in linea su alcune scelte delle Acli Nazionali… ma il circolo comunque andava avanti, sono state fatte iniziative sulla messa in rete dei bisogni delle famiglie, in quegli anni, uno psicologo veniva e raccoglieva argomenti che poi si rilanciavano in uno spazio comune. Erano iniziative che giravano attorno anche alle famiglie dell’oratorio… Le nostre icone in quel periodo erano persone come Monsignor Romero…

Poi cosa è successo? Oggi in che fase siete? 

Poi ci siamo riscoperti un po’ la L di Acli e abbiamo aperto gli sportelli lavoro e da lì il circolo è ripartito. Nel periodo covid facevamo iniziative online, io lo odiavo, mi vergognavo a stare in video… ma per tenere legato il Paese abbiamo intervistato il sindaco, il parroco, le associazioni, abbiamo provato a raccontare quello che eravamo, era un modo per sentire che c’eravamo ancora, come Paese... Abbiamo provato a mantenere una certa socialità… 

Siamo ripartiti con la rete lavoroAbbiamo aderito subito perché il lavoro era una delle “grazie” delle Acli, ci è venuto logico. Siamo partiti con l’idea di aiutare a fare il Cv. Subito ci siamo accorti che il CV per le persone che venivano era l’ultimo dei problemi. Arrivavano persone con tantissimi problemi, con storie complicate, con famiglie sfasciate.... Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare una Assistente Sociale molto sensibile e abbiamo creato una rete con lei e con la San Vincenzo, il centro di ascolto Caritas. Abbiamo iniziato ad affrontare assieme i problemi che emergevano, nascosti dietro la richiesta di CV o di lavoro e quindi abbiamo iniziato a creare tirocini di inserimento sociale. 

Nel concreto succede che le persone vanno alla San Vincenzo, che distribuisce pacchi e quando prendono il pacco le persone della San Vincenzo chiedono “Hai un lavoro? No? Allora vai alle Acli a fare il CV”. E le persone arrivano e raccontando la storia, per fare il CV, emerge di tutto: casa, bollette… e con queste richieste noi siamo andati a prendere contatto con l’Assistente Sociale, per capire cosa anche il Comune può fare.  Mettendo insieme le forze si sono create borse lavoro.


Come si sono trovati i soldi per le borse lavoro? 

 

In parte dalla San Vincenzo o da altri, a cui abbiamo chiesto, in parte sono autofinanziate con iniziative come lo spiedo solidale, i pranzi, il primo maggio… Ciò che ha funzionato è stata la rete. Anche la San Vincenzo aveva l’esigenza di uscire dallo “schema pacco” e quindi hanno avuto piacere a cofinanziare alcune cose con noi, anche la Caritas. 

Chi sta allo sportello? Dove è il collegamento con i promotori sociali? 

Allo sportello siamo in 4. Come provinciale si è deciso di non dividerci in categorie: Promotori sociali e Volontari Acli, ma di tenere assieme tutti i volontari che agiscono volontariamente. Quindi noi siamo qui come Promotori, in base a questo lavoro volontario che facciamo con gli sportelli lavoro. Per fare i tirocini siamo andati in giro per il territorio, abbiamo preso contatto con le aziende. Ad un certo punto ci siamo resi conto che per alcuni ruoli c’erano più offerte che domande di lavoro, che non avevamo operai specializzati per ciò che le aziende cercavano. Allora abbiamo proposto alle aziende di investire sulla formazione e loro hanno visto che preferivano assumere una persona fidata e formata da loro stessi, all’interno, piuttosto che continuare a cercare persone che non trovavano o che poi non restavano. Sulla formazione ci ha aiutato Enaip e siamo anche stati fortunati, il primo incontro in una ditta di Zingonia ha fatto partire il primo tirocinio, da quel primo che è andato a buon fine ne sono venuti poi altri 6, alcuni anche 55enni che poi sono stati assunti. 

Così facendo vi siete assunti una bella responsabilità, come circolo, perché tutto si basava sul segnalare una persona “fidata”…

Si, ci siamo presi una responsabilità. Ma prendersi responsabilità è il mestiere delle Acli. Che è anche la responsabilità di non segnalare tutti. In alcune situazioni, per certi ruoli, abbiamo detto: questa persona non possiamo inviarla, perché non è ancora pronta… Ma non è andato sempre bene. Il primo CV è andato male. E’ stata una esperienza forte per noi, ce l’abbiamo appeso in sede quel CV. Era una persona rumena, dormiva in macchina, si è presentato con una completa sfiducia, ci abbiamo messo tempo a costruire un contatto reale. Ad un certo punto è emerso che io ero stato nel Paese da cui proveniva, questo ha fatto scattare un rapporto. Da lì si è costruito, quando i documenti per il tirocinio lavorativo erano pronti, lui è stato ricoverato in ospedale ed in pochissimo tempo è morto. Per noi è stata una botta. La sua storia, il nostro fallimento, il prendere consapevolezza di un caso di solitudine estrema, in un Paese come il nostro… 

Prendere contatto con solitudine estrema, rendersi conto che non sempre si riesce…

No, non sempre si riesce a risolvere, le botte restano, ma si continua a farsi interpellare da quello che succede. Tramite la San Vincenzo siamo venuti a sapere di una famiglia rom non mandava più la figlia a scuola perché, seppur giovanissima, era promessa sposa e per loro non poteva andare a scuola… E’ stato uno shock culturale per noi. Ci abbiamo anche lavorato sul tema dello shock culturale, di come, di fronte a certe cose che ti spiazzano, c’è bisogno di non giudicare, di comprendere che esistono culture diverse con valori diversi, ma anche di provare a fare qualcosa… 

Da lì è nata l’idea della scuola parentale, in cui però gli insegnanti non potevano essere i parenti, perché i parenti erano analfabeti. Abbiamo trovato una insegnante, che in quel momento non insegnava e che si è resa disponibile e che li ha accompagnati fino all’esame di terza media. 

Dopo questo primo caso l’Assistente Sociale ci ha segnalato altri ragazzi con problemi di apprendimento e che non riuscivano a rientrare in progetti consolidati. Abbiamo iniziato con un paio di ragazze universitarie, adesso sono in 8. Siamo andati con loro a Barbiana, a visitare la scuola e conoscere la storia di don Milani, per cui dopo abbiamo deciso di chiamare “I care” questa nostra iniziativa di sostegno scuola. 

Quanti siete oggi, a fare il circolo, a mettere in piedi tutte queste cose e a seguirle… 

Tesserati formali saremo un centinaio… perché alcuni arrivano da persone che fanno la tessera per usufruire dei servizi, presso la sede provinciale e poi, per competenza territoriale, ci vengono proposti… Su questo va sistemato un po’ il tempismo, per poterli contattare in tempi rapidi e fare una proposta di partecipazione… Di tesserati come persone che si tesserano direttamente da noi, perché conoscono il circolo, saremo una 50ina. Che ci diamo da fare con continuità saremo una decina, persone su cui contare anche per cose varie, una 20ina… Prevalentemente siamo nella fascia 40-50 anni. Poi ci sono gli universitari, i servizi civili che restano… 

Adesso abbiamo anche ripreso in mano il discorso condominio solidale. Abbiamo fatto una convenzione, sullo spirito del vecchio progetto Abraham, con la cooperativa Lavorare insieme (trovando massima disponibilità). Loro avevano ancora il patrimonio immobiliare che era arrivato dalla fusione della nostra cooperativa, che era qualcosa che era fuori dal loro specifico di lavoro ed era in una zona in cui non erano direttamente presenti. In questi appartamenti sono state inserite persone con una sorta di housing sociale. C’è una persona (che abbiamo trovato dallo sportello lavoro) che ha avuto con noi il tirocinio solidale ma che aveva bisogno di una casa. Le è stata assegnata questa casa, ma da sola faceva un po’ fatica a gestire la vita quotidiana… allora abbiamo trovato un’altra persona (sempre dallo sportello lavoro) per andare a fare le pulizie, ma non fa solo le pulizie, mentre va, dà un occhio un po’ a tante cose… Un’altra persona l’abbiamo conosciuta facendo una raviolata e parlando si raccontava della necessità di qualcuno che passasse a dare un occhio ed una mano ad alcune situazioni e si è proposta: “vengo io” e così due volte settimana passa… La cooperativa gestisce gli appartamenti, gli affitti etc. Il circolo si fa carico di alcuni costi e della regia di alcuni aiuti, più o meno formalizzati… Adesso abbiamo appena ospitato una donna che viene da un altro Paese e che ha 4 figli e l’abbiamo conosciuta tramite il figlio maggiore, che ora è maggiorenne e con cui abbiamo attivato un tirocinio… Il nostro ruolo è di far fronte, con una rete di volontari, a far funzionare il condominio e ad essere sentinelle. 

Visto che siete una realtà molto consapevole dei vostri processi… vi chiedo, in base alla vostra esperienza, cosa può fare una sede provinciale o regionale o nazionale per supportare realtà come la vostra? 

Beh, come avrai capito ascoltando, tutto dipende dalle persone. Le cose si fanno se ci sono persone che vogliono farle. Quindi la prima cosa che si può fare è cercare persone che vogliono fare ed entrarci in contatto. E poi, anche come provinciale, non essere solo una struttura. La cosa che per noi è stata bella ed importante è stato, con la rete lavoro del provinciale, non avere a che fare solo con una struttura, ma con una persona. Quando c’è qualcuno che ti parla, ti chiama, che tiene a mente le storie, che ti sta al fianco… Questo crea qualcosa di diverso…

E cosa può fare un circolo, dove magari le persone e le energie sono poche… 

Tenere sempre aperti gli occhi. Stare sempre alla finestra. Noi ad un certo punto siamo andati a finire nella pubblica piazza. L’ex edicola del Paese ha cessato le attività ed è restata sfitta questa stanza, di 18mq, che era proprietà del panificio a fianco. Noi non abbiamo mai avuto una sede vera e propria, ad un certo punto ci siamo detti: non abbiamo disponibilità, diciamo al massimo 300 euro l’anno, ma proviamo ad andarci? Quando abbiamo raccontato chi eravamo e cosa volevamo fare ce l’hanno data gratis. Eravamo in piazza. C’era sempre qualcuno che passava a fare qualcosa o a chiedere qualcosa. Da lì abbiamo capito che c’era ancora da fare e il Paese ha capito che le Acli c’erano ancora. Da lì sono nate le iniziative successive… la cosa importante è tenere gli occhi aperti e costruire relazioni. All’inizio fare con gli altri chiede più tempo, ma poi si crea un tessuto e con ognuno che ci mette un pezzetto, si riesce a fare molto molto più che da soli. E’ un po’ la storia di Emmaus, tu vai, cammini, poi le cose succedono mentre cammini… Serve anche un po’ credere alla presenza dello Spirito, noi l’abbiamo sperimentato mille volte, la Provvidenza esiste! E poi serve non aver paura di fallire. Si cerca di fare del proprio meglio, ma non sempre va bene e non si risolve mai tutto. 

Cercando il circolo di Ciserano su Azione Sociale si può vedere una serie di attività dell’ultimo periodo… 

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