CIRCOLO DALFINO (BARI). LA VOCE DI UN TERRITORIO SOFFERENTE CHE RISCOPRE LA PROPRIA IDENTITA’ BARESE NEL RECUPERO DELLE TRADIZIONI
Cuore pulsante e vigoroso della città di Bari, Il Circolo Acli Dalfino, lascia una traccia profonda nel territorio; un segno di cui è testimone e, al contempo espressione, Michele Fanelli, il suo presidente. La città ferita e, poi lentamente rinata, ha potuto contare sull’appoggio e l’impegno del Circolo Acli, le cui origini Michele le richiama con queste parole:
il Circolo nasce nel 1994, a seguito delle continue richieste da parte dell’allora presidente provinciale Franco Maffei, che da tempo auspicava l’apertura di un circolo Acli nella città vecchia di Bari, nel centro storico. Io non gli avevo dato retta perché il mio impegno era già quasi del tutto riservato alle attività con la parrocchia; però la situazione sociale del territorio era piuttosto critica, un contesto fortemente a rischio, che mi ha indotto a riflettere su questa possibilità. La spinta reale arriva con la scomparsa del prof. Dalfino il sindaco di Bari, detto “il sindaco degli Albanesi”: l’8 agosto 1991 si trovò ad affrontare lo sbarco di circa 20mila profughi albanesi giunti a Bari con la nave Vlora. Disse che erano persone disperate e che non poteva rimandarle indietro, ma questa scelta compromise il suo percorso politico futuro. Dopo alcuni anni, la malattia mise fine alla sua vita ed io ero davvero molto legato a lui; questo evento mi ha convinto definitivamente; decisi di aprirle il Circolo e lo volli dedicare alla sua memoria, chiamandolo Circolo D’Alfino. Quest’anno festeggiamo trent’anni da quel momento storico per noi.
Su quali iniziative vi siete concentrati e rispetto a quali vi siete particolarmente distinti?
Le nostre sono attività di carattere prettamente sociale e politico, con finalità legate allo sviluppo del territorio. Siamo impegnati nella città vecchia di Bari a difesa e tutela dei valori umani e cristiani dettati dalla nostra fede, assieme ad altre realtà quali il Comitato di Quartiere e la Parrocchia Cattedrale. Siamo cresciuti come Circolo in un contesto territoriale di degrado e abbandono da parte delle istituzioni. In una certa fase importante per Bari, si è sviluppato un progetto urbanistico che prevedeva il risanamento della città vecchia all’insaputa dei residenti. Bari prima del 1994 era una città poco accogliente anche per i turisti, che venivano accompagnati e scortati dalla polizia. La situazione cambia completamente grazie ai Piani Urban, i piani di risanamento europeo, che segnano un vero e proprio spartiacque nella vita di Bari Vecchia. Il risanamento architettonico ha comportato però un allontanamento brusco di molte delle famiglie della zona verso rioni più periferici. Prima di proseguire ad espandersi, verso l’apertura di locali pubblici, avrebbe dovuto consolidare la qualità e quantità dei servizi a disposizione dei suoi abitanti. Il Circolo Dalfino nasce dentro queste criticità e le fa proprie, per dimostrare che la città vecchia non deve soccombere di fronte all’azione della speculazione edilizia e all’aumento della criminalità. Si sparava e si uccideva per le strade e nel frattempo il valore immobiliare crollava, al punto che da fuori compravano i nostri immobili a prezzi più che competitivi. Ci siamo cimentati in primis su questa battaglia: la rivendicazione di un territorio malato per trasformarlo e la richiesta di un ritorno delle istituzioni locali e regionali, che non avevano più alcuna voce in questa realtà. C’è da considerare che, a seguito dell’amministrazione D’Alfino, siamo andati incontro ad una fase di instabilità politica. Lo “Stato” era scomparso: più volte, come Circolo chiedemmo l’intervento delle forze armate, considerato il livello critico della situazione. Lo sfruttamento del territorio, unito al disinteresse, provocò un allarme di grande portata, per effetto dell’applicazione della legge “del leone”, impersonato dalla criminalità dilagante. Quando la politica è tornata ad assumersi le sue responsabilità, attraverso una proposta di risanamento, la parte nuova delle città era ormai preda degli investimenti di capitali esterni, attraverso i quali era stato speculato sulla città e i residenti sono rimasti fuori da tutto. La nostra era ormai una comunità ferita e stremata da agguati e omicidi. Quindi la battaglia del Circolo è stata essenzialmente politica e tuttora lo è, sebbene ci siamo impegnati anche in altre cose.
Nel 2000 eravamo al culmine del livello di criminalità e, per errore restò ucciso, in un conflitto a fuoco, Michele Fazio un ragazzo di qui. Noi come Circolo abbiamo detto basta, non potevamo restare silenti di fronte a questo scempio e ci fu, da parte nostra, la proposta di agire organizzando una fiaccolata e coinvolgemmo la parrocchia. Il Parroco di allora, Don Nicola Bonerba, si rifiutò e mi disse che non si sarebbe svolta alcuna fiaccolata. Il nostro Vescovo era in Brasile e io riuscii a farmi dare un contatto per raggiungerlo telefonicamente, spiegandogli che noi ci saremmo mossi ugualmente con o senza la Chiesa. Lui ci appoggiò senza esitazione, mandandoci il vicario generale: eravamo 5.000 persone per le strade di Bari a dire basta.
La faida riguardava due fazioni di famiglie criminali e un giorno dopo l’omicidio dell’innocente, ci fu l’ennesimo attentato a delle persone che, scappando si sono introdotte nel nostro Circolo. Io li accusai di averci condotto verso il baratro e uno di loro mi disse: “ma che vita possiamo fare? Nessuno ci prende a lavorare, lo Stato di ignora, non abbiamo altra scelta che delinquere per sopravvivere!”. Si salvarono e io li mandai dall’ex assessore ai servizi sociali “Melchiorre” e proposero, con il nostro appoggio, di realizzare una cooperativa, tramite la quale potersi occupare in modo trasparente e dignitoso. All’Assessore l’idea piacque e sostenne questa iniziativa. Noi come Circolo abbiamo costituito la cooperativa per rispondere a tali esigenze, reinserire nella comunità ex detenuti criminali, dare loro un’opportunità di riscatto, e siamo andati avanti insieme alla parrocchia. Questa cooperativa di ex detenuti si chiama “Vita Nuova”, esiste ancora, e abbiamo dato lavoro a circa 200 ex detenuti che ora si trovano in un’azienda municipale.
Durante il periodo della guerra in Kosovo, per dare un segnale, a chi era dall’altra parte dell’Adriatico, abbiamo istituito la fiaccolata della pace. Da quella data, il 26 dicembre, organizziamo un presepe con la natività al mare e sulla scogliera accendiamo la stella della pace dopo la nascita di Gesù. E’ una stella gigante, visibile, per far giungere il messaggio ai fratelli lontani e, ormai, la facciamo da circa 26 anni.
Verso quali altre strade vi siete mossi?
Nel tempo ci siamo coinvolti anche in battaglie per la tutela e la redistribuzione dell’acqua, che veniva erogata per massimo due o tre ore al giorno nella nostra città e noi ci siamo schierati in favore dei diritti dei cittadini, mobilitandoci per le questioni legate alla gestione, contro il Sindaco, con l’acquedotto pugliese. Ecco il nostro è un impegno per il territorio, e come molti altri circoli ci occupiamo dei servizi Acli, ma vorrei sottolineare che la dimensione politica e sociale per noi è prevalente. Vorremmo dare più attenzione alla persona e alla povertà. Penso che la C di cristiani, che l’acronimo Acli contempla, da molti di noi sia ignorata. Prima ancora di essere aclisti nell’insieme, siamo cristiani e questo deve portarci a comprendere che non possiamo e non dobbiamo ignorare i problemi sociali. L’azione del Circolo si ispira a questo principio valoriale.
Di certo ci sta a cuore la ricostruzione del senso di comunità che è andato disperdendosi anche a causa delle circostanze difficili in cui il territorio ha versato per lungo tempo. Quell’identità collettiva che ci definisce come baresi, storicamente e culturalmente, aveva necessità di essere portata alla luce, affinché potesse tornare patrimonio comune. Per questo la nostra azione ha riguardato anche iniziative per riappropriarci delle tradizioni popolari. La strada non era praticabile e le persone restavano chiuse in casa: alcune tradizioni tipiche erano completamente scomparse. Con fatica dal ’94, buona parte le abbiamo recuperate. Tra queste rientra la sagra di San Giovanni, ad esempio, la tradizione voleva che il giorno prima della vesta, colui a cui è stato dato il nome di Giovanni, fosse responsabile di addobbare la strada e imbandire la tavola con un menu tipico barese; alla mezzanotte si compie il tipico “comparazio, comparizio”, si dice da noi, il momento in cui compare San Giovanni. Questo ti fa sentire parte della famiglia e adesso ci occupiamo di preparare tutto, noi del Circolo. Chiediamo aiuto alle istituzioni e qualche volta ci sostengono, poi ci appoggiano le altre associazioni come quella dei panificatori. Siamo tornati a promuovere anche i corsi di orecchiette baresi e di cucina tradizionale.
Vorrei mettere in evidenza, l’iniziativa pensata e realizzata dal Circolo Dalfino, giunta alla ventisettesima edizione, ovvero il premio cittadino denominato il “Nicolino d’oro”. Così come Milano ha il suo Ambrogino d’oro, da tempo lo abbiamo anche noi. Nel nostro direttivo all’inizio ci siamo chiesti se fosse possibile anche per Bari istituire un premio cittadino che attestasse le onorificenze conferite ad alcune figure di rilievo per la città. Così nel giorno di San Nicola, il nostro patrono, cioè il 6 dicembre, alle ore 10.30 organizziamo una cerimonia nella sala consiliare del comune per riconoscere un premio a sei illustri baresi, che si sono distinti nella loro vita per l’espressione dei valori cristiani, declinandoli in interventi e azioni di promozione a favore della nostra città in diversi ambiti. Lo facciamo in accordo con il Comune e, con il Sindaco Decaro, due anni fa, abbiamo sottoscritto un accordo di programma, attraverso il quale il Comune ha manifestato la sua adesione all’iniziativa, da svolgere insieme. Per i successivi cinque anni il Comune individuerà una delle figure da premiare, mentre i restanti premiati siamo noi ad individuarli attraverso il nostro direttivo. Questo è uno degli aspetti dell’accordo.
Inoltre, abbiamo pensato di far sentire la nostra voce anche attraverso l’edizione mensile di un nostro giornalino, “La Vescigghie”, e con questa presenza in Internet per raggiungere tutti coloro - baresi e non, vicini e lontani - che amano Bari e la sua storia. Da non dimenticare anche il nostro calendario.
Cosa significa per voi essere Acli?
Io personalmente credo di essere sempre stato aclista anche senza essermene accorto. Le Acli ci hanno dato opportunità di parola, di poterci esporre per le nostre battaglie, un’opportunità preziosa. Però, quello che riscontro con un pizzico di rammarico, è che le Acli al Sud sono un po' fragili, non riescono a far crescere delle persone che possano impegnarsi attivamente e promuovere una politica vicina alle persone e ai loro bisogni. La politica è carità cristiana, diceva un Papa. Con le Acli del territorio il rapporto è buono, sebbene, devo riconoscere che non sempre ci siamo sentiti appoggiati e supportati ai diversi livelli; come movimento potremmo fare molto di più sotto l’aspetto sociale. La presenza delle Acli, anche a livello nazionale, non la sento quanto vorrei, ma è nelle nostre potenzialità. Le qualità delle Acli io le riconosco e mi ci riconosco, ma qualche volta siamo silenti, non riusciamo ad essere davvero “le sentinelle del territorio”. La marcia della pace l’ho condivisa e io, in prima persona, ho stimolato tutti. Quando ci mettiamo sul serio in un progetto siamo bravi e, non solo noi come Circolo, anche Purgatorio in quella occasione si è dato da fare con grande impegno. Ma in generale ci vorrebbe più spinta, ad ogni livello, dobbiamo saper dire qualche no in più, probabilmente. Abbiamo una grande forza che non usiamo appieno. Ad esempio, qui nel nostro territorio, siamo 42 circoli e mi chiedo perché non si riesca a fare rete tra di noi. Fossimo tutti insieme a prendere posizione e a promuovere alcune cause, saremmo una vera potenza al servizio della comunità.
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