I dati che si conoscono sulla diffusione dei principali media (giornali, televisione, social sul web) mostrano profonde modifiche rispetto al passato. Ormai solo poche persone comprano e leggono i giornali cartacei ed una quota di lettori li vede sul web o sul cellulare; ed è un modo diverso di informarsi perché on line le notizie vengono riportate in ordine diverso e gli articoli sono generalmente più brevi.
Si utilizza maggiormente l’informazione televisiva, più i telegiornali che i talkshow. Ma anche qui, soprattutto nei talk più che informazione si fa spettacolo: gli spettatori si raccolgono non quando i partecipanti “ragionano” ma quando “litigano”. I contenuti passano in secondo piano o sono del tutto “estremizzati”. Vincono la parola e l’immagine in sfide all’O.K.Corral: unico modo per attirare l’attenzione e avere lo spettatore. E nei TG i politici, spesso, appaiono nel “panino”: ognuno spara in 30 secondi le proprie certissime ricette; ma sono solo slogan.
Poi ci sono i social: Facebook per gli adulti, Tick Tock per i giovani. Qui, soprattutto su Facebook, è la giungla. Nei giornali e nella TV lavorano giornalisti che hanno (e dovrebbero rispettarlo) un codice etico, invece, sui social tutti possono scrivere e nessuno è in grado di garantire che le notizie riportate siano vere. Anzi, spesso prevalgono le fakenews: fatti inventati.
Poi si scrive come se si fosse al Bar. Meglio, a volte sembra una osteria di avvinazzati. E ci sono quelli, i leoni di tastiera, che si nascondono dietro identità false. Come tutto ciò può incidere sulla informazione elettorale?
Una vera conoscenza, e l’informazione di approfondimento, utilizza testi sufficientemente complessi. Perché viviamo in una realtà complessa, dove ogni desiderio, ogni scelta ci viene presentata come possibile ed a portata di mano. Anche troppo a portata di mano e con informazioni sempre sul presente: cosa sta accadendo ora. Pochi, quasi nessuno si informa leggendo testi (libri) che presentano ricerche ed indagini sull’evoluzione della società moderna.
Il passaggio sul web ed al cellulare ha aumentato “il disordine informativo” ed ha ridotto i volumi e la complessità dei testi. Non a caso, nei giornali on line, dopo il titolo ed il nome dell’autore ora seno segnati “i minuti di lettura”. Quasi per dire “non perdete tempo”.
Invece, per ragionare e riflettere, “il tempo” è indispensabile. Quando c’è troppa informazione si favorisce la tendenza a ricercare “soluzioni semplici”: si valuta il bianco ed il nero, le contrapposizioni. Si perde di vista non solo il grigio ma tutti i colori della vita. Le informazioni e gli approfondimenti sono sostituiti dalle “percezioni”. Quelle individuali e quelle “di gruppo”: per i giovani del gruppo “dei pari”, per gli adulti quelli della prossimità amicale. Alla ragione si sostituisce, se va bene, “l’emozione”, una sorta di innamoramento (perso ed indifeso); ma, più spesso, si sostituisce “la pancia”: non a caso si parla di linguaggi viscerali. E questo lo hanno capito molto bene molti politici, soprattutto i professionisti della paura.
Possiamo dire che il “pensiero vero”, cioè lo scritto è oggi passato in secondo piano, con il risultato, abbastanza terribile, di aver del tutto dimenticato il passato, la nostra storia, e messo in secondo piano anche il futuro: le sfide che ci attendono. Poi, se guardiamo i dati sulla scolarità e le competenze di base, le indagini dell’OCSE ci dicono che l’Italia è fanalino di coda tra i paesi sviluppati dell’Europa: abbiamo un basso tasso di scolarità, pochi laureati, livelli di competenze di base (linguistiche e matematiche) inferiori alla media europea. Con un 30% della popolazione italiana che viene definita come “analfabeta funzionale”. L’Unesco, nel lontano 1984, ha definito l’analfabetismo funzionale come “la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere propri obiettivi e sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. Incapaci di leggere la realtà complessa.
Un importante sociologo italiano, scomparso nello scorso mese, ha coniugato una nuova definizione per identificare i moderni comportamenti elettorali, parlando di “consenso irragionevole”. Un consenso dato per emozione, paura, scarsa conoscenza ed informazione. Attenzione: questo non vuol dire disprezzare le persone. Significa individuare un problema e trovare delle soluzioni per cercare di risolverlo.
E qui ripenso ad una esperienza di gioventù, degli anni ’60 del secolo scorso, quando Monsignor Brachetti, autoritario Prevosto di Olgiate, ci mandava tutti i sabati, in coppia, a visitare le famiglie immigrate, dal Sud ma anche da Veneto e dalla Valtellina, per vedere come stavano, che problemi avevano e per portare la “buona stampa”, che era “Famiglia Cristiana”.
La prossimità e le buone parole possono ancora avere un ruolo. Proprio in questo nostro tempo difficile con una guerra di invasione vicino a noi, le difficoltà dell’economia, la crisi ambientale che sta sconvolgendo la meteo e le stagioni. Problemi troppo complessi per pensare di risolverli in un giorno e guardando solo all’oggi. Più che mai invece dobbiamo metterci a lavorare per il futuro. Come i nostri genitori fecero settant’anni fa.
Beppe Livio, già Presidente provinciale delle Acli di Como