Tradizionale presenza a Morbegno, il circolo Acli nasce nell’immediato dopoguerra (1949), sull’onda del movimento di ricostruzione del Paese seguito al conflitto mondiale. Il circolo si caratterizza per la sua intraprendenza, un tratto distintivo che lo rende riconoscibile anche oggi, attraversando con tenacia circa settantacinque anni di storia e numerose fasi evolutive. Nel tempo è cresciuto l’impegno al servizio del territorio, sostenuto da una intensa attività aggregativa e di partecipazione sociale a favore dei lavoratori e delle loro famiglie. Le prime porte di accesso alla collettività sono il servizio di Patronato e lo spazio bar dopolavoro, attraverso le quali il circolo di Morbegno svolge una importante funzione sociale per il proprio paese.
Danilo Ronconi, attuale presidente, è cresciuto nel circolo e con il circolo, diventando parte di una storia ricca e coinvolgente che, ancora oggi, ha un ruolo significativo nella vita della comunità. Insieme a Danilo ripercorriamo le tracce della presenza delle Acli a Morbegno, dalle origini fino ai nostri giorni.
Quali sono i tuoi ricordi sulla nascita del circolo?
Faccio parte del circolo da quando avevo sedici anni, adesso ne ho sessantuno: una storia lunga. Come capitava all’epoca, le parrocchie si facevano promotrici della nascita dei circoli Acli, anche per affermare la presenza della Chiesa nel mondo del lavoro: di questa sensibilità è figlio il nostro circolo. I soci all’epoca avevano individuato un terreno che è stato donato da un privato e qui hanno edificato parte dell’edificio che, ancora oggi, costituisce la sede del circolo. Nel 1950 è stata resa agibile la parte storica dell’immobile; una seconda parte, che si ricongiunge con l’originaria, è stata costruita successivamente, intorno agli anni ‘80. Sono stati i soci aclisti di un tempo a mettere in piedi la struttura, con le proprie mani e con il contributo ai lavori di quelle che potremmo definire le prime esperienze dell’Enaip, in una fase di ripartenza del Paese. Il piano terra ospitava la parte dedicata al ristoro, cioè il bar dopolavoro, mentre il primo piano era destinato agli uffici, con spazi per le riunioni e per le attività dei primi servizi. In particolare, all’epoca ospitava il Patronato. Considerata la fase di ripresa del Paese dopo la guerra, il ruolo del Patronato era basilare per il disbrigo delle pratiche e per l’assistenza alle pensioni di guerra e di invalidità. Solo dopo è stata la volta dello spazio bar e quella parte dell’edificio si è trasformata nel luogo embrionale che ha saputo dare vita alle diverse esperienze affermatesi in seguito: l’organizzazione Coldiretti, la CISL e altre realtà territoriali. Era la stagione in cui si esprimeva il proprio impegno politico, ci si confrontava sugli scioperi, sulle battaglie del mondo del lavoro del dopoguerra; un fermento questo che animava gli spazi del circolo e ne faceva un punto di riferimento per la mobilitazione dei lavoratori e lo sviluppo della coscienza politica. In proposito, c’era una battuta che si era diffusa nelle Acli del tempo, parlavano di noi come delle “Botteghe oscure di Morbegno”, rende l’idea giusto? I passi che hanno portato alla nascita del circolo sono di certo più densi e complessi: sto cercando del materiale che mi aiuti a ricostruire i dettagli, per esempio attingendo al giornale del movimento provinciale “L’Incontro”, il giornale del circolo molto attivo negli anni ’60 e ora edito on line.
Successivamente quali sono state le attività prevalenti di impegno a favore della città?
I successivi trent’anni sono molto corposi sul fronte delle attività realizzate: i corsi di formazione professionale, la realizzazione di attività sociali, mutualistiche e ricreative. Ci siamo avviati verso quella che potremmo definire una seconda fase, coincidente con la storia dell’evoluzione del welfare e del privato sociale. A partire dagli anni 80, il Circolo si caratterizza per la nascita di un movimento giovanile intraprendente, impegnato sulle tematiche della politica, della pace, della solidarietà e della cooperazione.
Nascono le prime cooperative sociali del territorio promosse dalle Acli, realtà che producono servizi alla persona come la Coop. INSIEME, oppure come la Cooperativa sociale Il Sentiero dedita alla creazione di opportunità lavorative per persone svantaggiate. Quest’ultima è una cooperativa florida che nel tempo ha ampliato molto la sua azione. A questo si affianca l’apertura di un punto di formazione professionale Enaip Lombardia.
Negli anni ’90 ricordiamo il momento di “mani pulite” e ciò che ne consegue. Il circolo si attiva con numerose iniziative pubbliche, campagne di partecipazione sociale e scuole di formazione politica. Nasce una lista civica di Morbegno, orientata al centro sinistra, espressione di molti dei soci del circolo che si impegnano per contrastare il decadimento politico dei partiti. Una lista che ha la responsabilità di governare il territorio per tre mandati. Il gruppo del circolo ha fornito un apporto determinante alla crescita di questa esperienza e alla vita politica e amministrativa del paese. Un impegno che non è venuto meno nel tempo, ma che in quegli anni segnava un passo in controtendenza rispetto alla predominanza nel territorio della presenza leghista. Eravamo, insomma, una delle poche anomalie della provincia.
Ci avviciniamo allo sviluppo recente del circolo Acli di Morbegno, quello che voi definite come la fase di “rilancio”. Di cosa si tratta?
Sì direi il momento di una vera e propria svolta, che collochiamo intorno alla prima decina degli anni 2000, con l’intenzione di rilanciare le originarie funzioni aggregative e di promozione sociale. Ci siamo messi in discussione come entità e nella modalità di gestione degli spazi, per individuare nuove prospettive. Questi pensieri sono stati al centro del Progetto Ri_Circolo, una progettualità sociale che punta ad un rilancio sia della struttura, che della sua funzione, per trasformarci in un circolo di comunità. Abbiamo sentito la necessità di un momento di verifica, in cui chiederci cosa serve alla città, quali bisogni, quali emergenze. Così è stato avviato un confronto con altre organizzazioni, con i cittadini, con un approccio di ricerca-intervento, un percorso di ascolto delle persone, della durata di circa due anni. In questa logica di sperimentazione, abbiamo acquisito consapevolezza dell’importanza di dare nuove risposte ai crescenti bisogni educativi e di protagonismo dei giovani. Da questo è scaturita l’idea della creazione di uno “Spazio Giovane”, un luogo appositamente dedicato ai giovani e a disposizione per l’uso (da novembre 2021).
Siamo partiti con interventi a carattere strutturale, riconvertendo gli spazi, in direzione delle esigenze individuate. Soprattutto il bar e il bocciodromo, che negli anni ’80 accoglieva principalmente pensionati e lavoratori di fine giornata. Gli anziani nel tempo hanno modificato le proprie abitudini, l’utenza è diminuita e con il covid si era azzerata. Il bocciodromo è stato riconvertito in uno spazio polivalente multifunzionale, destinato ad una fascia giovane della popolazione del territorio. Gli ammodernamenti della struttura della sede permettono la convivenza di alcune tipologie di spazi.
Con un coinvolgimento delle scuole secondarie di primo grado, si è attivato un servizio pasti attrezzato rivolto ai giovani che hanno necessità di scaldare e consumare il pasto insieme. In autogestione possono rifornire borracce, scaldare le vivande portate da casa, acquistare bibite pagando un costo irrisorio per il servizio. Il presidio dello spazio è garantito dall’intervento dei volontari di servizio civile, presenti almeno in tre.
Abbiamo riadattato i locali anche per ricavare degli spazi attrezzati per eventi musicali. Quello della musica è un veicolo importante per attrarre i giovani: accogliere i loro interessi, avvicinarli e poi aprire possibilità affinché il resto avvenga. Vengono organizzati circa 2 eventi al mese, con una partecipazione che spazia dalle 100 alle 200 persone. Attraverso questa opportunità si sono costituiti due gruppi di giovani che hanno deciso di affiancare alla musica degli eventi di approfondimento culturale - ad esempio incontri con esperti sul tema della disparità di genere, sulla violenza alle donne, sull’ambiente - oppure organizzano delle raccolte fondi. Alcuni di questi di recente sono stati indirizzati al sostegno della causa dei profughi palestinesi.
Per realizzare tutto questo avete messo in moto delle progettualità specifiche?
Abbiamo proposto dei progetti rivolti ai giovani partecipando ai bandi Fondazione Cariplo, della Fondazione Pro Valtellina (una delle fondazioni di comunità della Fondazione Pro Valtellina) e della Regione Lombardia. Preziose risorse che ci hanno consentito di ampliare le azioni, di inserire alcune figure professionali per qualificare l’offerta: una educatrice e una psicologa. Fondamentale è stato il sostegno delle Acli Provinciali, che inizialmente hanno contribuito alle spese di ristrutturazione e, in seguito, hanno messo a disposizione dei circoli una figura amministrativa part time, per il sostegno del loro operato. Periodicamente organizziamo anche degli eventi di autofinanziamento, indispensabili per fare fronte alle importanti spese di gestione della struttura.
La nostra progettualità è sostenuta da una filosofia di fondo che si basa sulla generosità, fiducia e reciprocità. Ad esempio, nei bandi inseriamo anche parti di attività, eventi, che i giovani intendono realizzare, aiutandoli a sostenersi e questo genera fiducia, questa attenzione ti viene restituita in termini di maggiore impegno, presenza e idee da parte loro. Evitiamo di porre ostacoli tipici del mondo adulto, buttiamo il cuore oltre all’ostacolo e li incoraggiamo a prendere l’iniziativa, in questo modo i gruppi si rafforzano e generano presenza, diventando attrattivi per altri.
Dunque, qual è lo spirito che anima il vostro fare nella e per la comunità?
Vogliamo favorire quel contagio per generare comunità in senso ampio, il cui valore di fondo è la fiducia e l’apertura. Lo spirito è quello della convivenza nello spazio, dove anime e realtà differenti esprimono le proprie potenzialità insieme, accettando le differenze. Offriamo in gestione gli spazi ad altre organizzazioni, ad esempio per la festa senegalese di autofinanziamento che realizzano ogni anno. Noi stessi siamo anche andati in Senegal per relazionarci con questi gruppi. Siamo la sede di alcune realtà locali: ospitiamo Libera, Amnesty International, la Proloco di Morbegno, l’Associazione Siro Mauro (per le cure palliative), il gruppo locale di burraco, l’associazione sportiva Tiro alla fune Valtellina, che recentemente ha vinto il campionato italiano in una categoria e altre ancora.
Dobbiamo contaminare e farci contaminare, incentivando processi di scambio e conoscenza, favorire la nascita e la vita delle associazioni e dei gruppi che svolgono attività sociali perché oggi il problema maggiore è l’individualismo e la conseguente indifferenza. Proponiamo un modello relazionale che condivida lo stile e le finalità della struttura, andando oltre a logiche mercantili e strumentali. Qualcuno non lo capisce e si allontana, molti invece si mettono in gioco e nascono dinamiche virtuose, di conoscenza, ascolto e collaborazione. Per esempio lo scorso anno abbiamo ricevuto la richiesta dei nostri spazi da parte di un gruppo LGBT di fuori provincia per un evento. Abbiamo proposto loro di fare un incontro conoscitivo e abbiamo invitato i gruppi che frequentano lo spazio e altri per incontrarsi, conoscersi e ascoltarsi. Ne è nata una serata a tratti commovente, che ha permesso a molti di abbattere i propri pregiudizi. Oggi a Morbegno c’è una associazione in più: Valtellina Arcobaleno. Grazie al principio della collaborazione possiamo seminare e costruire, nel presente, percorsi di futuro. Mi riferisco soprattutto allo Spazio Giovane. ai suoi servizi iniziali nel tempo abbiamo aggiunto delle attività laboratoriali che coinvolgono, aggregano e fanno incontrare decine di giovani, dallo scorso anno proponiamo un servizio di doposcuola gratuito ed ora stiamo lanciando un progetto di ricircolo del libro usato. Abbiamo anche fatto i conti: lo scorso anno lo Spazio Giovane ha registrato più di 5000 presenze e quest’anno andremo ben oltre.
In che modo potreste dire di essere Acli?
All’esterno del nostro circolo ogni giorno sventola la bandiera delle ACLI e campeggia una insegna: il nostro logo. Penso, però, che fondamentalmente siamo ACLI perché poniamo al centro il valore e la dignità della persona in una logica laica, coinvolgendo coloro che più di ogni altra cosa hanno a cuore l’uomo. Basterebbe questo tipo di presenza, tuttavia sono consapevole che serva anche promuovere la partecipazione organizzata. Molti, in questi anni, si sono tesserati per gratitudine, ora ci piacerebbe avvicinarli ai principi fondativi dell’impegno Aclista, a partire da quelli della Dottrina Sociale della Chiesa. La Chiesa sta vivendo una situazione molto complessa, che necessita di una importante azione di discernimento che parta dal basso, non possiamo delegare tutto alla figura di Papa Francesco. Vorrei anche trovare un nuovo modo per parlare di fede, soprattutto ai giovani, sperando che sia generativo di cose nuove. Infine mi piacerebbe creare degli eventi culturali di valore e soprattutto popolari, che non fossero di nicchia, bensì accessibili a tutti. In conclusione, possiamo dire di essere Acli perché siamo tra le persone, costruiamo tessuto sociale, comunità e ci impegniamo per il perseguimento del bene comune, facendolo con uno stile coerente ai principi della nostra associazione.